L'era del Ferro

Dal divano alla finish line


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Tutto quello che volevate sapere sul Norseman…

Prologo

E’ buio pesto a Eidfjord alle 4 del mattino del 4 agosto. Un buio denso, rischiarato da due fari alogeni la cui luce bianca e fredda si riverbera, per diventare ancora più tagliente, contro un massiccio parallelepipedo di ghiaccio posto davanti alla minuscola porta di ferro di un battello. E’ il traghetto che tra poco porterà i 250 iscritti al Norseman in mezzo al fiordo. La stessa imbarcazione che ho visto decine e decine di volte nei video riassuntivi della gara, che avevo cominciato a sognare anni fa, non appena ho conosciuto il triathlon. E’ rimasto a galleggiare in una dimensione onirica per tanto tempo, e anche adesso che ce l’ho davanti, in tutta la sua ferrosa materialità, non sono sicuro che sia lì per davvero. Continua a leggere


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Ma non ti annoi in tutto quel tempo?

Se la preparazione di un Ironman è un viaggio, la gara in sé e per sé è un rito di meditazione. Come per l’arte, anzi la scrittura citando un po’ alla larga Socrate e Platone, ciascuno ne dà la propria interpretazione in funzione di ciò che è. Per me è un momento di grande intimità, a guardarlo in maniera razionale ben più di un momento,”specialmente se sei lento” direbbe qualcuno. Undici ore e spiccioli domenica a Klagenfurt.

“Ma non ti annoi?” mi domandano. Io rimango sempre interdetto, perché come faccio a spiegare che quando sei lì dentro spazio e tempo si deformano, perdendo la loro forma socialmente accettata per diventare una sorta di stramberia governata da leggi fisiche incomprensibili al comune senso del reale?

Il giorno di gara il frullatore ad effetto straniante si accende intorno alle 4 del mattino. Qualcuno deve aver messo il tasto della velocità su “max” perché in un attimo tra colazione e recupero dello zaino è già ora di catapultarsi in zona cambio. Rimetti le ruote alla pressione giusta, piazza la borraccia sulla bici, attacchi il Garmin (accendi, controlli che agganci fascia cardio e Vector, spegni), vai alle sacche a mettere giù la roba da mangiare. Controlli, ti allontani, ritorni a controllare di non aver fatto qualche casino mischiando il materiale bici con quello corsa. Un delirio mentre il tempo corre e tu ancora hai da infilarti la muta.

Una volta in griglia la velocità passa al minimo. Sei lì con il cuore che batte a mille, intruppato nella procedura di partenza, ad attendere il colpo di cannone. Sembra un’eternità, poi il rumore sordo, sobbalzi tu, sobbalza il cuore e in un attimo sei in acqua. I 3,8 km di nuoto, che odio, non sono esattamente…nuoto. E’ più sopravvivenza, a guardare le boe per non percorrere strada a vuoto, a stare lontano dai calci e dai pugni, a cercare qualche scia. Il finale di Klagenfurt poi è un canale largo penso meno di 10 metri dove si procede affiancati in 4 o 5 e dove non c’è scampo al pestaggio. Essere tirati fuori di li e andare a prendere la bici è una benedizione. Uscire senza il naso rotto o uno zigomo tagliato è già un miracolo. 1h16′, avanti.

E’ adesso che, almeno per me, il tempo comincia a scorrere davvero a velocità supersonica. A seconda dei percorsi mi servono tra le 5h30′ e le 6h per completare 180 km. Non mi annoio mai. E’ come se qualcuno avesse girato una clessidra piena di sabbia, sai che devi ritornare al punto di partenza prima che l’ultimo granello cada se vuoi centrare il tuo obiettivo. E’ una lotta micidiale in cui mille pensieri si accavallano: sto tenendo la potenza che mi serve? si ma il cuore è 2 battiti più su di quando dovrebbe. Allora allungo il rapporto così recupero di cuore…però ora si sale e se scendo troppo di cadenza mando in crisi la gamba. Cazzo. Un gioco bellissimo, un lavoro di consapevolezza che non riesco a replicare a questi livelli in nessuna altra occasione.I secondi scorrono, più veloci dell’asfalto sotto le ruote. E in un attimo sono 5 ore e 42 minuti. Di già.

Quando salti giù dalla bici e inizi a correre tiri un sospiro di sollievo. Adesso sta solo alle tue gambe portarti in fondo. Dovresti andare a 5’20” – 5’25″/km ma ti senti bene, le gambe girano da sole e l’orologio dice 4’45”. Facendo una botta di conti vedi che così quei 12′ persi un po’ li recuperi. Davanti ci sono i tuoi amici a fare da riferimento, magari li prendi. E spingi, diventi ancora di più una cosa meccanica. Non esisti, funzioni. Respiri, muovi le gambe e mangi ogni 5 km, bevi ogni 2,5. I ristori sono tutti uguali, anche la sequenza con cui prendi i rifornimenti diventa routine. La mente si spegne, non esiste niente altro che il conto alla rovescia della distanza mentre aggiorni in tempo reale la proiezione finale. Giri la mezza a 5’10” e cominci a sognare le 3h45′ finali, ma come in ogni maratona Ironman piano piano la prestazione degrada, fino a che negli ultimi 6 km anche solo pensare di scendere sotto i 5’40″/km fa partire crampi ovunque. I secondi scorrono inesorabili quando capisci che hai bucato le 11h di 8′. Maratona in 3h54′ alti ma gli ultimi 100 metri sopra al tappeto del rettilineo finale sono pura gioia lo stesso. E già non vedi l’ora di riprovarci.IMG_4002

 


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Il paradiso siamo noi

Sono i colori a farti sentire bene a primavera avanzata a Rapperswil-Jona. Dall’Obersee, una continuazione del lago di Zurigo, guardi i fianchi delle montagne e noti decine di sfumature di verde che tracciano i confini di prati e boschi. Il cielo è azzurro, di un azzurro uniforme dipinto da nuvolette bianche tanto scenografiche quanto innocue, l’aria trasparente. Intanto nuoti, si sta bene con la muta nell’acqua a 18 gradi. L’acqua invece non è immobile affatto, c’è un po’ di onda e c’è da faticare in questo avvio di 70.3 che precede di tre settimane Ironman Klagenfurt.

E’ il meteo che ti fa stare bene a primavera avanzata a Rapperswil-Jona. Fa caldo, e anche il caldo è pieno di sfumature, come i colori delle montagne e come l’acqua del lago. Nel primo giro di bici la temperatura media è di 27 gradi, il sole batte sulla pelle ma l’aria è fresca quando si sale. Primo strappo “il muro delle streghe”,  1 km e 350 m al 7% di pendenza. Salgono pure i battiti e benedico di essere partito con la bici da corsa mentre butto giù il 34/25, per fortuna che c’è un gran tifo, gente con i cappelli…da strega, appunto. Discesa, respiro, poi riparte. Questa volta più dolce ma anche più lunga: quasi 8 km, a poco più del 4% di pendenza. Procede a gradini con tratti al 5% e pianerottoli in cui si può prendere velocità, si pedala bene. E più si sale più si respira. Non sarà così al secondo giro, con 30° e la stanchezza dei primi 45 km nelle gambe.

E’ gentile l’automobilista a Rapperswil-Jona. Agli incroci il traffico è regolato, si formano code. Vedo portiere aperte e gente che scende dalla vettura. Mi preparo agli improperi e invece sento: bravo, forza italia, e batter di mani e sorrisi. Sorrido anche io, se posso saluto se invece sono impiccato faccio un cenno con la testa. E’ contagiosa la gentilezza, chissà se è così solo da queste parti o vale anche 300 km più a sud, oltre le alpi.

E’ liscia la strada a Rapperswil-Jona. Anche ai bordi, lì dove hanno disegnato una striscia gialla lasciando 1 metro e mezzo di spazio per le biciclette. Anche quando passi sopra i tombini è liscia la strada da queste parti, fanno le cose per bene e così scopri che l’asfalto si può livellare, persino nei rari punti in cui è rappezzato. Ogni tanto il percorso viene incanalato dentro alle ciclabili completamente separata dalla sede stradale. Sono larghe, non si interrompono, non ci sono buche. Si può pedalare a 30 all’ora con la bici da corsa, si può pedalare trainando il carrellino della Thule con dentro due bambini. Qui li hanno tutti, sia i  bambini che i carrellini intendo. Lo vedi come ci tengono ai bimbi, ogni tanto si incontrano i giochi per loro lungo la ciclabile. Peccato che sono in gara sarebbe bello fermarsi a goderselo questo posto.

Peccato che non ho portato Giacomo, penso mentre inizio a la frazione run, mentre guardo a sinistra passando accanto al Kinder Zoo. Peccato davvero, quando passando accanto al campeggio trovo altri mini-volontari non ufficiali che ti passano la spugna bagnata da dietro la recinzione. Ti corrono accanto allungando le mani in modo da poterla recuperare e riciclare. Mi sa che li crescono immersi nella cultura dello sport questi bambini svizzeri. C’è gente ovunque, anche in mezzo ai prati. Hopp Hopp Hopp, per tutti i concorrenti, sembra di stare al mondiale di sci. Dei tizi hanno suonato i campanacci tradizionale in cima a una curva per 4 ore a fila. Per il primo e per l’ultimo. Ogni casa ha organizzato un presidio: tubo dell’acqua, tifo indiavolato, spugnaggi extra. Il percorso run è se possibile ancora più bello di quello della bici. Due giri da 10 km, metà giro nei campi e nei boschi lungo lago, metà giro nella città medievale. Un po’ sterrato, un po’ asfalto, un po’ acciottolato. Percorso mosso, salitelle e discese e poi la scalinata in centro, che a vederla il giorno prima faceva paura e invece, alla fine della fiera, non è male affatto.

Passano in fretta questi 21 km, fila tutto liscio, per quanta acqua mi hanno buttato addosso sembro appena uscito dal lago. Non sono andato forte e non me ne frega neanche niente. Sto bene, sto benissimo, potevo farlo oggi il full. Probabilmente non farò forte manco quello, e pazienza. Sono in un posto meraviglioso a fare quello che mi piace, ho dato il 99,9% (il 100 lo tengo per il 2 luglio!) e ho potuto passare due giorni con i miei ragazzi. Considero sempre un privilegio poter condividere con loro l’esperienza di gara, a partire dalla preparazione della zona cambio fino agli abbracci appena dopo la finish line.

Quando andiamo alle gare, quando portiamo la bici in transition zone prima della gara, quando il buongiorno sul gruppo Whatsapp arriva da tutti alle 5.00 del mattino, quando ci incrociamo durante la frazione corsa, quando ci guardiamo sapendo esattamente la sensazione che prova l’altro perché stiamo vivendo la stessa fatica, la stessa gioia, la stessa gratificazione e a volte anche la stessa frustrazione, è come se facessimo parte di un club specialissimo. E’ come se non fossimo mai soli, è come se il modo, o almeno quel pezzetto di mondo, fosse un posto migliore. Chissà se saremo mai capace di trasportare questa magia anche a casa, e tenerla viva.

Lo sport fa bene all’anima e al corpo. E pure alle strade.


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Non sei portato per la matematica

Sheldon

Ho fatto il Liceo Classico e ho sempre pensato che la matematica non facesse per me, dalla prima elementare fino al primo anno di Università, quando sono stato costretto ad applicarmi un po’ almeno per passare gli esami di economia e statistica. La Fisica invece l’ho sempre trovata interessante…e così quando non ho più avuto l’obbligo di studiarla ho cominciato a leggere prima testi divulgativi, poi più dettagliati. Ad un certo punto mi è stato chiaro che per tentare di afferrare l’eterea bellezza della teoria della relatività generale e le meno cristalline equazioni della meccanica quantistica dovevo ripartire quasi da zero e provare a cogliere almeno gli aspetti tecnici della matematica. Continua a leggere


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Ironman Barcellona: datemi una crisi che ve la risolvo

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Ogni Ironman è un universo a sé stante, non esiste una gara uguale all’altra e in ognuna ci sono difficoltà da gestire e momenti di grande gioia, ben prima del traguardo. Il mio di Barcellona è stato l’IM più complicato e veloce allo stesso tempo, quello in cui la testa ha dovuto funzionare di più ma non per gestire lo stress emotivo come mi era accaduto in precedenza, questa volta si è trattato di muoversi in condizioni avverse per mare, per aria e per terra. Una grande lezione di “crisis management” che cercherò di applicare alla mia vita e perché no, magari passare a chi si occupa di organizzazioni che ogni giorno affrontano la sfida della competizione. Intanto mi godo queste 10 ore 49 minuti e 42 secondi, con cui cancello le 11 ore 1 minuto e 48 secondi di Klagenfurt. Il muro delle 11 è rotto finalmente. Continua a leggere


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La gioia dell’imperfezione

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I 100 metri finali di una gara sono sempre bellissimi, ancora di più quando la gara è il campionato Europeo di mezzo Ironman, in quella precedente ti eri ritirato e questa era la tua occasione di vendetta dopo 40 giorni di attesa. L’orologio segna 5h48’, la classifica recita 635° posto assoluto, abbondantemente entro il primo 50%. Sono tornato.

I 100 m metri finali di una gara sono quelli in cui tutto diventa molto chiaro, se va bene sei ancora in piena “estasi dell’atleta”, o Nirvana, se preferite. Sai perfettamente cosa vuoi dal futuro – di solito iscriverti a una nuova gara, per la gioia del marketing della World Triathlon Corporation – e assumi la sconcertante capacità di analizzare lucidamente il passato.

Domenica scorsa in Germania è andata esattamente così. Quegli ultimi 30” hanno catalizzato tutti i pensieri che avevo cominciato a spargere qua e là dopo il disastro di Pescara: rottura del cambio, ritiro, bici che ha viaggiato per mezza Emilia prima di trovare una mano santa che rimettesse a posto lo sfregio. E poi i dubbi che mi avevano assalito alla Cima Tauffi, dove neanche l’obiettiva bellezza del percorso era riuscita a distogliermi dal pensiero che in qualche modo stessi massacrando inutilmente le mie gambe. Infine le sensazioni della mattina di Wiesbaden con le gambe che stanno bene ma “non-sono-proprio-esplosive-come-so-che-sono-capaci-di-essere”.

C’era qualcosa che non tornava, insomma, e come sempre mi ci è voluta una gara al limite delle mie capacità per rendermi consapevole di ciò che mi metteva a disagio. La conclusione è che con il trail ho chiuso, quanto meno a livello agonistico, quanto meno durante la stagione del triathlon, quanto meno fino a che non avrò agganciato Kona.

Per riuscire a fare 10h30’ a Barcellona scelgo di rinunciare al sogno della Courmayeur Champex Chamonix. Non mi piace andare in gara e ottenere risultati mediocri, non voglio più sentirmi come a Pescara con le gambe molli in bici prima dell’incidente o all’arrivo del Tauffi, tra gli ultimissimi. Ho invece bisogno di continuare a fare un lavoro molto specifico, concentrando tutte le energie su un singolo obiettivo. Lo sapevo che era una sfida a rischio, mi rimane la soddisfazione di averci provato e soprattutto di aver vissuto le “Ultra esperienze” di Ultrabericus, Orsa e Tauffi insieme ai 70.3 di Volano, Rimini, Pescara e Wiesbaden. Quando sarà tempo concentrerò le mie energie sulla montagna, dopo Kona il Tor. Coerente con la mia tecnica di pormi un traguardo più grande mentre ancora sto inseguendo quello già definibile come impossibile.

Quando preparo una gara in maniera impeccabile di solito salgo sulla bici, sento le gambe spingere e mi dico “ok, oggi sei perfetto”. Domenica questa sensazione non l’ho provata, anzi, ho percepito nitidamente, come da tempo non riuscivo a fare, tutti i limiti causati dalla dispersione delle energie. Potrebbe sembrare una conclusione negativa e invece è stata una vera rivelazione: serve anche l’imperfezione! Senza non potremmo correggere la rotta, non potremmo vedere dove stiamo sbagliando e cominciare a cercare una strada nuova verso il miglioramento. E senza il rischio di combinare qualche pasticcio ci perderemmo anche tutte le emozioni che si provano quando si vive sul filo del rasoio, in bilico tra il trionfo (che significa semplicemente riuscire a fare qualcosa che ai più sembra folle) e il fallimento. Altrimenti sai che noia?


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Tutto in famiglia

Questo week end mi ha lasciato con un po’ più di consapevolezza sui lavori “complementari” da far fare ai miei (ma anche a me) grazie all’eccellente corso “Forza funzionale per il triathleta di endurance” tenuto dall’ottimo Max Savorelli (mio docente anche al corso istruttori). Va dato atto al grande lavoro che il settore tecnico della FITRI sta facendo per dare una formazione di alto livello ai suoi istruttori e allenatori.

Questo week end mi ha lasciato con un po’ più di consapevolezza su quanto sia bella la famiglia del triathlon in generale e quella Spartans in particolare. Eravamo in 26 a Volano e la vera fatica non è stato finire la gara bensì farlo riuscendo a trovare il fiato per dire una parola a tutti nel multilap bici e corsa. Continua a leggere


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Di Maestri zen, battaglie quasi perse e sogni hawaiani

IMG_5447Non vado, le gambe non si sollevano, inciampo in ogni arbusto su per questa maledetta salita attraverso un prato che non finisce mai. Mi sembra di essere un’altra persona che sta facendo un’altra gara rispetto a come stavo 10 minuti fa. E’ veloce questa Ultrabericus, una trappola perfetta se non la conosci, che ti invita a girare forte per poi azzannarti ancora prima del 30° chilometro sui 65 totali. Continua a leggere


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Il mare d’inverno


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Fa freddo sulle montagne sopra a Rimini in questo week end di inizio marzo, non esattamente il clima che troveremo tra un paio di mesi nella classicissima Rimini Challenge, un must di inizio stagione per il team Spartans. O meglio, c’è il sole e in salita si suda da matti, i guanti si bagnano se non ti ricordi di toglierli e la termica sotto la giacca pesante genera un odore molto spiacevole. Però c’è questo vento fortissimo che a raffiche investe la Argon e le sue ruote a alto profilo, facendomi sudare ancora di più nel tentativo di controllare la mia astronave – si capisce che la amo? – e al tempo stesso tremare di freddo in discesa. Continua a leggere


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Sogna, scegli, progetta, fai (ovvero la regola della 4 D che ci sono anche se non si vedono)

Le concessioni che siamo disposti a fare rivelano l’importanza che diamo a una cosa
(cit Kilian Jornet)

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E’ tanto che non scrivo qui e potrei elencare un sacco di buone ragioni per cui ho trascurato il blog: perché ho lavorato tanto, perché scrivo anche per theageofsport.it, perché il Team Spartans cresce e allenare così tanta gente, mica solo i debuttanti all’Ironman Spagna, è impegnativo, e via discorrendo. La verità però è più concisa e anche cruda: non avevo niente da dire. O meglio, nulla da dire che mi stesse veramente a cuore. Continua a leggere