Se la preparazione di un Ironman è un viaggio, la gara in sé e per sé è un rito di meditazione. Come per l’arte, anzi la scrittura citando un po’ alla larga Socrate e Platone, ciascuno ne dà la propria interpretazione in funzione di ciò che è. Per me è un momento di grande intimità, a guardarlo in maniera razionale ben più di un momento,”specialmente se sei lento” direbbe qualcuno. Undici ore e spiccioli domenica a Klagenfurt.
“Ma non ti annoi?” mi domandano. Io rimango sempre interdetto, perché come faccio a spiegare che quando sei lì dentro spazio e tempo si deformano, perdendo la loro forma socialmente accettata per diventare una sorta di stramberia governata da leggi fisiche incomprensibili al comune senso del reale?
Il giorno di gara il frullatore ad effetto straniante si accende intorno alle 4 del mattino. Qualcuno deve aver messo il tasto della velocità su “max” perché in un attimo tra colazione e recupero dello zaino è già ora di catapultarsi in zona cambio. Rimetti le ruote alla pressione giusta, piazza la borraccia sulla bici, attacchi il Garmin (accendi, controlli che agganci fascia cardio e Vector, spegni), vai alle sacche a mettere giù la roba da mangiare. Controlli, ti allontani, ritorni a controllare di non aver fatto qualche casino mischiando il materiale bici con quello corsa. Un delirio mentre il tempo corre e tu ancora hai da infilarti la muta.
Una volta in griglia la velocità passa al minimo. Sei lì con il cuore che batte a mille, intruppato nella procedura di partenza, ad attendere il colpo di cannone. Sembra un’eternità, poi il rumore sordo, sobbalzi tu, sobbalza il cuore e in un attimo sei in acqua. I 3,8 km di nuoto, che odio, non sono esattamente…nuoto. E’ più sopravvivenza, a guardare le boe per non percorrere strada a vuoto, a stare lontano dai calci e dai pugni, a cercare qualche scia. Il finale di Klagenfurt poi è un canale largo penso meno di 10 metri dove si procede affiancati in 4 o 5 e dove non c’è scampo al pestaggio. Essere tirati fuori di li e andare a prendere la bici è una benedizione. Uscire senza il naso rotto o uno zigomo tagliato è già un miracolo. 1h16′, avanti.
E’ adesso che, almeno per me, il tempo comincia a scorrere davvero a velocità supersonica. A seconda dei percorsi mi servono tra le 5h30′ e le 6h per completare 180 km. Non mi annoio mai. E’ come se qualcuno avesse girato una clessidra piena di sabbia, sai che devi ritornare al punto di partenza prima che l’ultimo granello cada se vuoi centrare il tuo obiettivo. E’ una lotta micidiale in cui mille pensieri si accavallano: sto tenendo la potenza che mi serve? si ma il cuore è 2 battiti più su di quando dovrebbe. Allora allungo il rapporto così recupero di cuore…però ora si sale e se scendo troppo di cadenza mando in crisi la gamba. Cazzo. Un gioco bellissimo, un lavoro di consapevolezza che non riesco a replicare a questi livelli in nessuna altra occasione.I secondi scorrono, più veloci dell’asfalto sotto le ruote. E in un attimo sono 5 ore e 42 minuti. Di già.
Quando salti giù dalla bici e inizi a correre tiri un sospiro di sollievo. Adesso sta solo alle tue gambe portarti in fondo. Dovresti andare a 5’20” – 5’25″/km ma ti senti bene, le gambe girano da sole e l’orologio dice 4’45”. Facendo una botta di conti vedi che così quei 12′ persi un po’ li recuperi. Davanti ci sono i tuoi amici a fare da riferimento, magari li prendi. E spingi, diventi ancora di più una cosa meccanica. Non esisti, funzioni. Respiri, muovi le gambe e mangi ogni 5 km, bevi ogni 2,5. I ristori sono tutti uguali, anche la sequenza con cui prendi i rifornimenti diventa routine. La mente si spegne, non esiste niente altro che il conto alla rovescia della distanza mentre aggiorni in tempo reale la proiezione finale. Giri la mezza a 5’10” e cominci a sognare le 3h45′ finali, ma come in ogni maratona Ironman piano piano la prestazione degrada, fino a che negli ultimi 6 km anche solo pensare di scendere sotto i 5’40″/km fa partire crampi ovunque. I secondi scorrono inesorabili quando capisci che hai bucato le 11h di 8′. Maratona in 3h54′ alti ma gli ultimi 100 metri sopra al tappeto del rettilineo finale sono pura gioia lo stesso. E già non vedi l’ora di riprovarci.