L'era del Ferro

Dal divano alla finish line

Tutto quello che volevate sapere sul Norseman…

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Prologo

E’ buio pesto a Eidfjord alle 4 del mattino del 4 agosto. Un buio denso, rischiarato da due fari alogeni la cui luce bianca e fredda si riverbera, per diventare ancora più tagliente, contro un massiccio parallelepipedo di ghiaccio posto davanti alla minuscola porta di ferro di un battello. E’ il traghetto che tra poco porterà i 250 iscritti al Norseman in mezzo al fiordo. La stessa imbarcazione che ho visto decine e decine di volte nei video riassuntivi della gara, che avevo cominciato a sognare anni fa, non appena ho conosciuto il triathlon. E’ rimasto a galleggiare in una dimensione onirica per tanto tempo, e anche adesso che ce l’ho davanti, in tutta la sua ferrosa materialità, non sono sicuro che sia lì per davvero.

Non sarò io a salirci, sono qui per fare da supporto a Jacopo, insieme a Arianna. Lui è un amico da tanti anni, anzi un fratello, e da gennaio l’ho aiutato a preparare questa gara. Ho programmato gli allenamenti e lui se li è sudati, con l’obiettivo di venire in Norvegia a prendere la Black T-Shirt di quella che viene definita “la gara di triathlon più dura del mondo”. Che poi sia vero è tutto da vedere ma di certo la formula mette una certa agitazione. La più spietata del pianeta terra semmai, questo si mi sento di dirlo. Una gara in cui succedono in generale, e ci sono successe in particolare, tante di quelle cose che forse ci si potrebbe scrivere se non un libro almeno un racconto breve. Bisognerà procedere con ordine.

COS’E’ L’ISKLAR NORSEMAN

Il Norseman è un triathlon “extreme” su distanza Ironman e rappresenta l’evento più celebre nel sempre più affollato circuito di gare di questo tipo. E’ consorziato con Celtman (Scozia) e Swissman (Svizzera) nell’Xtri World Tour, che recentemente ha visto aggiungersi tre ulteriori eventi in Alaska, Canada e Slovacchia (http://xtriworldtour.com/).

Assolutamente unico il percorso  con 3,8 km di nuoto da percorrersi nell’acque gelide del fiordo di Eid (Eidfjord, per l’appunto) dopo essere saltati giù da una nave; 180 km di bici con 3600 m di dislivello positivo (molto minore la discesa dato che è un punto-punto e non un anello) di cui 1200 m abbondanti da completarsi nei primi 37 km; 42 km di corsa che si dividono sostanzialmente in 25 km di mangia e bevi in leggera salita complessiva, 7 km di salita su asfalto molto impegnativa lungo la cosiddetta Zombie Hill (intorno a un 10% pressochè costante) e 5 km finali di sentiero di montagna fino ai 1850 m del Gaustatoppen. Il dislivello positivo totale è di oltre 5200 m.

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Se aggiungiamo che la temperatura dell’acqua si aggira intorno ai 13/14 gradi quando va bene e che lungo il percorso bici è costante l’alternanza tra pioggia scrosciante, vento forte e freddo in quota, si può cominciare a capire il tipo di sfida. Ciliegina sulla torta l’inesistenza di punti di assistenza lungo il percorso, che rendono determinante il ruolo del team di supporto sia per quanto riguarda i ristori, l’assistenza tecnica e la fornitura di indumenti. La squadra rappresenta inoltre un elemento cruciale dal punto di vista tattico considerato che, a meno di non essere un atleta di alto livello, l’obiettivo più ambizioso dei partecipanti è raggiungere il cancello del 32° km di corsa entro le prime 160 posizioni o entro le 19:30, condizione necessaria per poter essere ammessi “alla montagna” e tagliare il traguardo che assegna la finisher black shirt. E’ insomma gara vera per tutti in testa così come in coda. A differenza degli Ironman “standard” nessuno va in Norvegia pensando di passeggiare fino al traguardo.

Tra queste gare estreme su distanza cosiddetta Ironman ma non appartenenti al circuito IMdot merita doverosa citazione l’Enbruman, che nel formato attuale con salita al Col d’Izoard si disputa dal 1990 (il Norseman dal 2003) ma che si può considerare più tradizionale per la mancanza dell’elemento “team”.

LA GARA VISTA DA DENTRO: UNA SFIDA CONTINUA

Il Norseman è una sfida ininterrotta dal momento dell’estrazione del pettorale a ottobre fino al traguardo, nell’agosto dell’anno successivo. Degli aspetti strettamente tecnici legati al modello di prestazione e alla fase di allenamento tratto in un capitolo apposito perché lì dove le altre gare esauriscono la lista delle difficoltà (ovvero ti alleni correttamente, fai lo scarico e via) il Norseman inizia.

Tanto per cominciare non potete affrontarla da soli. Un supporter è obbligatorio, altrimenti non si può accedere al monte Gaustatoppen, ma una sola persona non può fisicamente fare tutto. Soprattutto non lo può fare bene perché guidare, controllare la classifica e il passo degli avversari, scandire i rifornimenti, fare scorte di ciò che si esaurisce presto (come l’acqua), fare rifornimento senza perdersi il passaggio del proprio atleta, far fronte alle emergenze (tipo trovare nel mezzo del nulla un negozio che venda guanti da bici come capitato a noi per evitare che si congelassero le mano di Jacopo causa acqua più vento gelido), portarsi al cancello successivo intanto che il supporter designato corre su per la Zombie Hill, risulta un tantino difficile senza essere capaci di ubiquità.

Questo se tutto fila liscio, e una volta che siete riusciti a mettere sul traghetto il vostro pupillo. I guai possono arrivare anche prima perché il Norseman è prima di tutto una sfida logistica. Eidfjord è situata a circa 310 km da Oslo, direzione nord-ovest, con un tempo di percorrenza di 5 ore abbondanti imposto da strade secondarie con limiti di velocità tra i 50 e gli 80 km/h. L’aeroporto più comodo sarebbe Bergen (150 km) ma solo per raggiungere la partenza, visto che dal traguardo è di nuovo la capitale a essere preferibile. Noi abbiamo scelto Oslo, atterrando il mercoledì sera in modo da avere un giorno di margine in caso di problemi (la gara si svolge di sabato) ma non potevamo immaginare che il worst case scenario sarebbe diventato davvero “il peggiore”.

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Lufthansa ha lasciato le valigie e la bici (compresi casco e scarpe) a Francoforte con il risultato di farci attendere per tutta la giornata di giovedì il suo arrivo. Le valigie con la muta, gli integratori, gli abiti civili, le abbiamo potute recuperare a mezzogiorno ma della bici nessuna traccia. Intorno alle 16:30 abbiamo dovuto prendere l’estrema decisione di partire, sapendo che in qualche modo avremmo dovuto recuperare una bicicletta perché quella di Jacopo non sarebbe mai arrivata in tempo a Eidfjord. Attendere il venerdì mattina avrebbe significato non giungere in tempo per la registrazione e il briefing.

STORIE DI ORDINARIA GENEROSITA’

E’ proprio in questo momento di crisi che abbiamo cominciato a capire che questa gara è speciale. Mentre guidavo al crepuscolo in direzione Eidfjord sotto la pioggia battente è bastato postare un SOS sul gruppo Facebook riservato ai 230 iscritti per vedere scatenarsi il passaparola di generosità che nel giro di qualche ora ci ha permesso di mettere a punto un paio di scenari: innanzitutto i due supporter del fisioterapista, triatleta e celebre blogger svedese Lars Zachariassen disposti a prestare la loro bici, e poi un paio di persone in partenza da Oslo sabato mattina in grado di portare la bici a Eidsfjord. Arrivati a destinazione intorno alle 23:00 abbiamo potuto provare ben due telai, fortunatamente della misura giusta (quasi) potendo scegliere addirittura la tipologia più vicina alla dispersa Giant di Jacopo. Da notare che entrambe le bici erano dotate di pedali Garmin Vector, per la mia felicità nel non vedere andare sprecata la strategia di gara accuratamente studiata.

Abbiamo poi saputo che un altro italiano era stato aiutato nella logistica addirittura dalla direttrice di gara Torill Petersen che ha prestato la sua casa di Geilo, visto che lei era già a Eidfjord, facendogli trovare le chiavi…in una fioriera davanti alla porta d’ingresso!

Impossibile poi non raccontare del tifo che ogni equipaggio al seguito fa non solo al suo atleta ma a tutti quelli in gara, compresi gli avversari diretti, anche e forse soprattutto quando la competizione si fa più calda ovvero negli ultimi 30 km della bici e poi durante la frazione corsa. Si perché grazie alla formula dei cancelli tempo\posizione è gara vera sempre, anche nelle retrovie normalmente più tranquille. Nonostante la battaglia sia sempre con il coltello tra i denti nessuno risparmia incoraggiamenti e applausi, una lezione di vita e di quanto lo sport possa fare bene nell’insegnare che sopra a tutto c’è il rispetto per gli altri e che il rispetto è prima di tutto dare il meglio di se stessi riconoscendo agli altri concorrenti lo stesso impegno.

UNA PREPARAZIONE SPECIFICA PER UNA GARA ANOMALA

Per il Norseman è necessaria una preparazione specifica che si differenzia da quella classica per la distanza Ironman non solo per il dislivello della frazione ciclistica “imponente” ma anche per la peculiarità della corsa, e cioè:

  1. Si corre di fatto per 25 chilometri, cioè fino all’inizio di Zombie Hill
  2. I giochi (a meno che non puntiate al podio) si chiudono al chilometro 32 dopo 7 km praticamente al 10% e oltre

E’ evidente quindi che la preoccupazione non è stata quella di preparare un maratona ma di mettere Jacopo nella condizione di correre il più forte possibile per 25 km e di camminare in salita il più forte possibile dal 25° in poi, tutto in funzione di raggiungere come minimo la 160° posizione prima del cancello chiave. Da non sottovalutare comunque anche il cut off del secondo cancello al chilometro 37, la “porta” del Gaustatoppen perché è tutt’altro che raro riuscire a rientrare nei primi 160 ma poi essere comunque rimbalzati per non aver agganciato il controllo orario.

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Ancora più che per l’Ironman cruciale è il ruolo della bici, la frazione in cui si costruisce il successo di questa gara per cui ho preferito investire le nostre fiches su lunghissimi “secchi” (abbiamo perso il conto delle sedute da 7/8 ore) con simulazione del profilo altimetrico di gara e nel periodo specifico simulazione di sempre maggiori segmenti a intensità di gara. E’ stato fondamentale l’utilizzo del power meter e degli strumenti analitici e predittivi proprio per definire nel dettaglio quanti watt spendere sulle varie salite per scendere dalla bici non solo con il tempo voluto ma anche con la “stanchezza” programmata – misurata in punti TSS) Terreno privilegiato per questi lavori l’appenino e in particolare Futa e Raticosa.

Fondamentale tutto l’aspetto legato all’alimentazione e idratazione, in allenamento come in gara e nella routine quotidiana, che è stato curato da Lorenzo Bergami e dal suo staff dello Strategic Nutrition Center di Bologna, con il quale da tempo lavoriamo in team sugli atleti felsinei condividendo l’ossessione per la misurazione, il controllo e la pianificazione basata su dati oggettivi e evidenze scientifiche.

GESTIONE DI GARA: UN PO’ DI DRAMMA E IL NOSTRO PICCOLO CAPOLAVORO

Arrivare a Eidfiord, trovare una bici, fare il posizionamento alla bell’e meglio e mettere Jacopo sul battello alle 4:30 del mattino è stata la parte facile. Perché poi c’era da fare la gara!

La frazione nuota va liscia liscia, ben sotto il suo potenziale ma considerato che Jacopo si è allenato quasi zero in acqua per un problema cronico alla spalla il suo 1h17′ è grasso che cola. Per fortuna l’acqua non è freddissima rispetto agli standard del posto, e con i sui 14° odierni la T1 è poco drammatica. Solo un po’ di tremore da freddo ma più che gestibile. Non va dimenticato che è necessario vestirsi in tenuta invernale, copriscarpe compresi, quindi anche se con l’aiutante il tempo corre via velocemente.

Con Jacopo in sella volo al parcheggio dove Arianna mi aspetta con la macchina già accesa e una tazza di caffè fumante pronta (il caffè è un must in Norvegia, ci hanno anche regalato il set thermos con due tazze marchiato Norseman!). Non possiamo fare nulla per i primi 20 km nei quali l’assistenza è vietata per via della strada stretta e dei passaggi in galleria. Non appena al caldo mi attacco al telefono per controllare in tempo reale posizione e distacchi: siamo intorno alla 170° posizione, capisco subito che ci sarà da soffrire tanto oggi mentre Jacopo sale senza forzare cercando di gestire il freddo, il vento, la pioggia, la nebbia e il buio dei tunnel.

Una volta finita la lunga salita approdiamo sul gelido altipiano Handargervidda dove tra scrosci di pioggia e raffiche di vento il Norseman mostra tutta la sua crudezza. La nebbia e la neve ancora presente qua e là contribuiscono a rendere l’atmosfera in parte leggendaria e in parte lugubre. Ci si aspetta di vedere spuntare Odino da dietro qualche roccia.

La natura selvaggia della Norvegia sovrasta i partecipanti di questa gara

Intorno al 90° km dobbiamo gestire un’emergenza. La pioggia ha completamente bagnato i guanti di Jacopo, il vento freddo gli ha congelato le mani. Arianna riesce a trovare un negozio di articoli sportivi in quel di Geilo e acquista un paio di guanti da sci. L’operazione di cambio guanti, rifornimento cibo e idratazione è piuttosto complicata e viene anche ripresa in diretta streaming video ufficiale Norseman. Quando Jacopo riparte ci guardiamo con una certa soddisfazione: ottimo lavoro, il nostro è in gara, rifocillato, riscaldato e pronto a vendere cara la pelle. Il lavoro di squadra è l’essenza di questa gara.

 

 

Salita dopo salita arriviamo al 152° km, un altro punto cruciale per diverse ragioni. Innanzitutto è il punto in cui finisce la possibilità di assistenza. Da qui alla T2 ci sono 28 km di discesa nei quali non si può rifornire l’atleta ne comunicare con lui, un aspetto particolarmente importante perché ora si comincia a far sul serio. E’ quindi il momento di spiegare la situazione di classifica, fin qui tenuta ben nascosta a Jacopo per evitare condizionamenti psicologici che potrebbero influire sul suo umore e rovinare la strategia di gara studiata a tavolino. Siamo 167° e abbiamo 7′ da recuperare sul 160°. La comunicazione è letteralmente volante, non ci si può più fermare con ogni secondo che diventa fondamentale.

Rientriamo in macchina e riusciamo a seguirlo per qualche chilometro: pennella le curve da buon romagnolo che se ne intende di motori e rilancia dopo ogni tornante. Incurante dell’asfalto bagnato e anche della bici sconosciuta…davanti non guidano per niente così bene.

All’arrivo in T2 Jacopo mi lancia la bici e dopo 7h37′ di bici la prima cosa che riesce a dirmi è “salva la traccia sul Garmin”. Sogghino tra me e me, capisco che sta bene.
Non c’è tempo però per tirare il fiato, il dialogo si fa fitto, bisogna scegliere l’assetto per affrontare la prima parte di corsa, gli avversari escono e la tensione sale.

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Non appena infilate le scarpe Jacopo si lancia fuori dalla zona cambio e imposta un ritmo altissimo, sul display digitale campeggia enorme un numero: 164. Non sappiamo esattamente a quanto corre perché nella fretta pasticcia con il Garmin che poco dopo mi darà indietro. Arianna mi raccoglie al volo e risaliamo la fila degli avversari, prendo i distacchi usando il cronometro a mano, vecchia maniera. Dopo qualche chilometro smetto perché sono tutti vicini e Jacopo se li sta mangiando uno dopo l’altro. Riuscire a vedere le “prede” è un bell’aiuto ma anche pericoloso, il rischio di andare fuori giri per la fretta di agguantare la salvezza è forte. Entro il 10° km è 160°, davanti sono tutti più lenti. Comincio a crederci davvero, ce la sta facendo ma non è facile. Qualche crisi, momenti di scoraggiamento, la gestione dello stomaco, i 15 km che mancano all’inizio di Zombie Hill non passano. Continua a compiere sorpassi, non viene raggiunto da nessuno. Se nella prima parte dovevo invitarlo a rallentare adesso me le devo inventare di tutti i colori per mantenerlo di buon umore e continuare a farlo procedere al ritmo di sicurezza.

Finalmente siamo al chilometro 25, metto in spalla lo zaino anche io e cominciamo a inerpicarci. Non so come diavolo faccia a andare così veloce dopo quasi 11 ore di gara. I muscoli bruciano, la salita non molla mai, ma noi vogliamo solo mettere più gente possibile tra il 161° posto e il cut off. Per dimenticarci la fatica ci raccontiamo le avventure sportive degli ultimi anni, molte vissute insieme, anche in team come a St Moritz per l’Engadina Swimrun quando abbiamo passato un cancello per 20″. 4′ forti, 1′ di recupero, non passa, una volta, poi due…e poi non so per quante volte. Scrutiamo le distanze dipinte sull’asfalto ansiosi di vedere scorrere i chilometri.

In quel momento siamo i più veloci sulla salita…ad un tratto dietro una curva appare il tappeto del cronometraggio e la race director che ci sorride. 152esimo. “You’re in”. E’ fatta, una soddisfazione enorme, e anche commozione.

Il resto della gara è ancora salita, prima su asfalto, poi su pietraia. Su su fino alla cima, nascosta dalla nebbia.

Servono ancora quasi 3 ore per vedere il traguardo ma mettere il piede sopra la terrazza di legno del rifugio, sognata così tanto, che diventa vera, con una sua reale consistenza è una esperienza che in quel momento non riusciamo neanche a vivere pienamente tanta è la stanchezza accumulata. Missione compiuta, tanto ci basta.

Continua…

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