L'era del Ferro

Dal divano alla finish line


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Lascia a casa quel c***o di orologio! (ovvero accettare i propri limiti è il primo passo per superarli)

E’ domenica sera, sono comodamente seduto sul divano davanti a una partita della NFL, ho appena svuotato una bottiglia di birra artigianale padovana e in teoria questo post avrebbe dovuto essere il recap della mia settimana di allenamenti.

Pensavo di raccontarvi di come avessi ricominciato a spingere con l’obiettivo di scendere sotto i 40′ sui 10k nel giro di 2 mesi, snocciolando minutisecondichilometrimetribattitiewatt incolonnati per benino sui miei fogli excel. Di una settimana con due sedute impegnative e veloci in piscina, di due sessioni in bici tra cui una da 80k di pianura in due ore e mezza perennemente in posizione crono, e di due uscite di running a 4’10” di media….ma non è così perché martedì e sabato a piedi sono stato 20”/km più lento di quanto la logica avrebbe voluto e così addio fredda e scientifica pianificazione dei miei progressi.

Over training, l’impietosa, e ahimè corretta diagnosi, da parte del mio coach. Via il Garmin, il suo ordine e “lascia a casa quel c****o di orologio ” l’esortazione della mia amica e socia di corse Anne (che ben riassume la situazione e quindi si merita il titolo a questo post), per non parlare del cazziatone (senza censura, non è una parolaccia) che mi sono preso da mia moglie ieri notte all’una, dopo aver pazientemente sopportato una giornata di musi lunghi da parte mia perché “non riesco a fare i tempi” e “il coach mi vuole mettere a risposo di nuovo”.

Ebbene sì, ci sono ricascato nel vizietto di crearmi programmi tiratissimi con obiettivi assurdi solo per compiacere il mio ego e dimostrare (a me stesso prima che al mondo, ma certamente anche al mondo) che “sono capace di fare qualsiasi cosa”. Neanche una settimana di riposo che subito mi sono rimesso a tirare come un disperato, con una road map chiarissima in testa: sotto i 4’/km entro la fine di novembre sotto i 3’50”/km entro inizio primavera, sotto i 3’40” per la fine dell’estate, così si va in Florida con la maratona da chiudere in meno di  3h e magari ci scappa la qualificazione per Kona al primo colpo.

Pazzo visionario arrogante che non sono altro. Ancora una volta mi sono dimenticato che il corpo esige rispetto e che se questo non gli viene tributato lui è capacissimo di prenderselo con la forza. A differenza di quanto accaduto ad agosto stavolta almeno ci ho impiegato solo una decina di ore a convincermi che se non la pianto di caricarmi e analizzarmi come se fossi una macchina e non un essere fatto di carne e sangue non andrò proprio da nessuna parte. Così stamattina me ne sono uscito in bici in tutta calma lasciando il 910XT in tasca, affidandomi solo alle sensazioni e divertendomi anche parecchio, partendo rilassato, spingendo quando me la sentivo e recuperando quando ne avevo bisogno.

Mentre pedalavo per la bassa parmense un po’ mi guardavo attorno pensando a quanto amo le cose e le persone che riempiono lo spazio lungo l’argine emiliano del Po (culatello, parmigiano e le tradizioni di chi li fa, innanzitutto), e un po’ rimuginavo su me stesso, sulle mie ossessioni e sulla mia incapacità di accettare i limiti. Ho sempre pensato che non fissare obiettivi difficili e scegliere di affrontare sfide al limite dell’impossibile fosse un atto da pusillanime, da gente smidollata e irrispettosa di se stessa. E invece osservando con un po’ di distacco le vicende degli ultimi mesi (over training, riposo forzato, ottimi risultati, promesse di riposo mancate e di nuovo over training) mi tocca riconoscere che anche inseguire tutte le sfide ad ogni costo può portare all’infelicità, di sicuro a farsi del male.

E allora, siccome molte persone che mi conoscono bene e mi vogliono bene stanno unanimemente suggerendomi di prendermi meno sul serio e avere un po’ meno pretese da me stesso temo di essere costretto a dare loro retta. Nelle prossime settimane, dunque, allenamenti meno frequenti e nessuna misurazione in corso, concessa solo a fini d’archivio un’occhiata superficiale dei dati a fine sessione.

Coach Ironfrankie oggi mi ha congedato con una frase misteriosa: “Continui così fino al 21 ottobre. Quel giorno farai una cosa. Tieniti libera la giornata”. Dopo qualche congettura (una mezza? un triathlon? un torneo di assaggio del carrello dei bolliti?) mi sono ricordato del nuovo corso e ho smesso di pensarci. Poi mi sono aperto una birretta.

Ooh) What you want
(Ooh) Baby, I got
(Ooh) What you need
(Ooh) Do you know I’ve got it
(Ooh) All I’m askin’
(Ooh) Is for a little respect when you come home (Just a little bit)
Hey baby (Just a little bit) when you get home
(Just a little bit) mister (Just a little bit)

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Slowing down

Well, come on pretty baby, won’t you walk with me?
Slow down, baby, now you’re movin’ way too fast.
You gotta gimme little lovin’, gimme little lovin’,
Ow! if you want our love to last.

(The Beatles, Slow Down – 1964)

Quando sei abituato a lavorare duramente per mesi con l’obiettivo di limare anche solo di qualche secondo il tuo personale, quale che sia la distanza, è naturale scegliere di correre su percorsi ben noti e quindi ricchi di riferimenti che ti aiutino a capire se stai eseguendo gli esercizi al giusto ritmo. Per di più la concentrazione necessaria è tale da cancellare completamente il contesto, così che a mala pena riesci ad accorgerti del passare delle stagioni, al massimo fai caso a differenze di luce e temperatura ma sempre e solo in funzione della performance.

Dopo 11 mesi vissuti “al massimo”, però, è importante staccare la spina, che non significa diventare fan del divano bensì ridurre il numero di uscite, i chilometraggi, ma soprattutto provare a correre senza il pensiero fisso della prossima gara, disinteressandosi della prestazione. Il runner competitivo, come il sottoscritto, si avvicina a questo periodo con scetticismo, convinto che non riuscirà mai a fregarsene di tutti i parametri con cui normalmente misura se stesso.

E invece? Invece capita che una mattina ti svegli in un posto nuovo e ti rendi conto che il modo migliore per esplorarlo è indossando le scarpe da corsa. Così esci dal cancello sapendo solo che il percorso pedonale lungo lago è più o meno in quella direzione. Ti avvii e poi dopo qualche decina di metri chiedi indicazioni, tu che non parli mai con nessuno perché devi risparmiare il fiato, ad un ragazzino sullo skateboard. Gli sorridi, e lui è portato a rispondere al tuo sorriso. Ti mette sulla strada giusta e guardandoti attorno capisci che stai arrivando in un bel posto.

Non dovendoti preoccupare del tuo passo né dei battiti del tuo cuore (ma solo dell’ora di rientro per la colazione) cominci a guardarti intorno e vedi. Vedi l’erba e tutte le sue sfumature, noti che gli alberi non sono tutti uguali e ti accorgi che sopra di te le nuvole corrono assumendo forme sempre diverse e disegnando ombre sui fianchi della montagna di fronte a te, la cui pietra è esattamente la stessa usata per costruire l’antica casa in cui hai passato la notte. E poi ci sono i suoni e i profumi, l’incrocio con altri runner (chissà perché mi sembra che stamattina se la prendano tutti comoda) con cui scambi anche qualche parola circa il sentiero migliore da prendere. Un’occhiata complice arrivati al bivio e via, in pace con gli altri e con se stessi.

Succede anche che il posto è di una bellezza tale da perdere il fiato e così l’iphone, che avevi portato per essere sicuro di non perderti, lo tiri fuori per fare una foto. SÌ, tu runner competitivo che non interromperesti una corsa neppure se ti minacciassero di morte, ti fermi. Scatti, respiri, ti guardi intorno. E poi ti avvii sulla strada del ritorno, rimpiangendo di non aver potuto esplorare un po’ di più.

Tornando sui tuoi passi ormai ti senti a tuo agio con un luogo fino a poco prima sconosciuto. Riconosci pendenze, curve, superfici e così aumenti senza far fatica la velocità fino a che, a pochi metri dal portone davanti al quale ti fermerai, guardi il fedele GPS: 4’30″, l’equivalente di un medio nell’ultimo chilometro. Incorreggibili questi runner da caccia.

Ciclopedonale lago di Annone (Lecco)


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Risposte per gli altri, risposte per noi stessi

Se siete in cerca di motivazione, se avete bisogno di ritrovarla o se vi serve una lista di risposte da dare a chi con aria di sufficienza vi chiede se siete matti a fare quello che fate, ecco a voi un vero e proprio gioiello. In questo video “spot” del New York Road Road Runners Club (gli organizzatori della Maratona nella grande mela, per intenderci) ci sono tutte le ragioni e tutte le risposte possibili, o quanto meno le fonti di ispirazione per trovarne molte altre. A me ogni volta che lo guardo rischia sempre di scappare la lacrimuccia.

E ricordiamoci la cosa più importante: la ragione per cui corriamo basta che sia valida per noi stessi, tutto il resto e tutti gli altri non contano.


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Fa’ la cosa giusta

“La vera scelta non è mai tra il fare una cosa e il non farla. Ma tra il farla o non farla per coraggio oppure per paura”.
(Massimo Gramellini, L’ultima riga delle Favole)

Dopo la mezza di domenica scorsa a Parma mi sono trovato in una situazione bizzarra in cui il mio orizzonte piuttosto ristretto focalizzato su tre gare consecutive (Olimpico di Sarnico domenica 29 agosto, 10K di Padova domenica 2 settembre e appunto Cariparma running il 9) si è improvvisamente aperto davanti a me, come se stessi viaggiando dentro ad una galleria e fuori mi avesse sorpreso una luce abbagliante. Mi sono trovato libero, libero dagli impegni e dalle programmazioni ma allo stesso tempo disorientato dalla mancanza di un obiettivo, una scadenza temporale, un impegno agonistico di quelli che ti spingono ad alzarti la mattina alle 5 per allenarti sapendo che quel giorno entrerai in ufficio alle 09:00 del mattino senza avere idea dell’ora a cui uscirai la sera.

In questa situazione di “indefinitezza” ho capito di non esserci arrivato per caso. Non è da me, malato di programmazione come sono. No è la mia testa che in maniera del tutto autonoma ha deciso di snobbare le gambe, procrastinando l’iscrizione a quella che in teoria doveva essere la ciliegina sulla torta di una stagione impegnativa ma anche piena di soddisfazioni. Alla Maratona di Firenze ci sarei potuto arrivare in perfetta forma fisica e senza dubbio non avrei avuto alcun problema a scendere sotto le 3 ore e mezza, tirando via un bel pugno di minuti al tempo fatto in Aprile a Milano.

E allora, cos’è questa storia che a Firenze non ci andrò? La spiegazione è tanto semplice quanto faticosa da digerire per uno che, come tutti noi che corriamo, vorrebbe sempre e solo andare più lontano e più veloce, senza mai fermarsi, in una progressione infinita. Il punto è che dopo 11 mesi di tabelle, sveglie all’alba o allenamenti notturni, corse primaverili sotto diluvi universali e pedalate estive dentro altiforni, sebbene fisicamente sia in forma strepitosa la mia energia mentale è decisamente in riserva.

Sarà banale ma adesso ho solo voglia di correre e pedalare per puro divertimento. Quando ne ho voglia, quanto ne ho voglia, affidandomi alle sensazioni e senza stressarmi. Certo pensando all’occasione sprecata di spostare ancora un po’ il mio limite, di passare sotto il traguardo di una 42k e sentirmi vivo, pienamente soddisfatto di me stesso, sento in bocca un gusto amaragnolo, di sconfitta e rinuncia. Ma è la scelta giusta.

Dopo due anni di agonismo so perfettamente che se io il 25 novembre andassi a sgambettare in riva all’Arno mi ritroverei a pagare questa decisione per i due o tre mesi successivi, sia per l’esaurimento fisico che per la saturazione mentale. E questo non me lo posso permettere poichè un IM non è uno scherzo e vorrei arrivarci non solo preparato fisicamente ma anche affamato di chilometri.

Qualche volta bisogna avere il coraggio di fermarsi e per farlo, ho imparato, serve molta più forza di quella necessaria a spostarsi in avanti.


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Feelin’ Supersonic

Ieri mi hanno chiesto come mi sentissi alla vigilia della Mezza Maratona Cariparma running. Ci ho pensato un po’ su poi ho risposto “supersonico”. Sì perché dopo aver seminato tanto finalmente sto raccogliendo i frutti del sacrificio, in 8 giorni demoliti i PB sui 10k e 21k.
Quando corri una mezza a 4’25” stando tutto sommato bene dall’inizio alla fine davvero ti senti come se stessi volando oltre la velocità del suono.

D’altra parte:
I need to be myself
I can’t be no one else
I’m feeling supersonic
Give me gin and tonic