L'era del Ferro

Dal divano alla finish line


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Cose che devi sapere quando decidi di iscriverti al tuo primo trail da 100 km

Mi hanno chiesto quando ho deciso di passare al lato oscuro dell’ultra. La risposta è che non lo so di preciso, perché non è una scelta razionale. E’ stato puramente istintivo. Così come in una gara da 100 km con 3200 m D+ non c’è nulla di preciso, o meglio non c’è nulla di davvero preventivabile e quasi nulla di totalmente controllabile. Con 5 Ironman sulle spalle pensavo di essere più che allenato a gestire mentalmente un impegno lungo, ma correre per quasi 18 ore si è rivelato ben più arduo. Sono talmente tante le cose che sono accadute sabato al Tuscany Crossing che non so neanche da che parte cominciare a raccontare.

Cosa chiedere di più dalla vita?

Innanzi tutto non riesco a togliermi dagli occhi la bellezza totale in cui ci siamo ritrovati a correre. Conoscevo già la Val d’Orcia, su quelle strade oltre a esserci passato in svariate Mille Miglia ho pedalato e corso i supercombo pre Klagenfurt 2014 durante una trasferta di lavoro a Siena durata due mesi, ma solo ora posso dire di averla davvero vissuta. I primi 50 km da Castiglione a Montalcino passando per Bagno Vignoni, Pienza, San Quirico e Torrenieri, in una giornata di sole con il cielo completamente terso sono stati letteralmente magici. Grazie alla partenza antelucana – letteralmente – ci siamo trovati sulle strade bianche in mezzo alle colline verdi dalle creste addobbate con i cipressi in un momento in cui la luce primaverile sembrava pennellare un quadro davanti ai nostri occhi, anziché limitarsi a illuminare in modo ordinario la realtà. Ed è stato come sentirsi pienamente felici, complice una prima parte di gara molto corribile con il serbatoio delle energie ancora bello pieno.

E poi il piacere di sentire le gambe leggere e la corsa facile, su quei mangia e bevi, il passo veloce e efficace camminando sulle salite più impegnative. Tutto bene fino a Montalcino, alla base vita, arrivo della 53 km, dove mi sono concesso il lusso di un po’ di pasta in bianco e persino di indossare una maglietta pulita dopo poco più di 6h dalla partenza. Riprendere il percorso non è stato facile: molta meno gente a fare compagnia, la calura opprimente e un percorso decisamente più duro sotto il profilo altimetrico, mi hanno un po’ spento. Fortunatamente ho ritrovato la mia compagna di squadra Annalisa che, come capiterà più avanti, si è messa davanti a fare il ritmo, consentendomi di tornare vispo e efficace.

Giù verso l’abbazia di Sant’Antimo recuperando qualche posizione e poi di nuovo salita fino al ristoro di Castelnuovo dell’Abate dove un omino vestito in completo vintage brandizzato Eroica – lanina verde e panna, cappellino compreso – mi ha offerto del pane e prosciutto che ho scioccamente accettato deragliando dalla mia collaudata strategia alimentare fatta di banane, arance e coca cola. Un po’ per il caldo, un po’ per lo stomaco, fatto sta che un montante senso di nausea accompagnato a sonno si è scatenato in modo devastante appena dopo il guado del fiume Orcia, intorno al 68° km – 11 ore di gara circa -proprio mentre iniziavano quasi 6 km di salita fino al ristoro successivo. Inutile dire che mi hanno passato in tanti – penso almeno dieci – e qui ho cominciato a sognare di essere svaccato su un divanetto di vimini fronte mare, con uno spritz in mano, alternando questa visione con l’avvistamento di cani, viandanti sdraiati al margine del bosco e animaletti di vario genere, rivelatisi poi tutti invariabilmente semplici rami da me oniricamente interpretati. Stavo provando sofferenza anche solo a camminare lentissimo, privo di lucidità, senza poter fare altro che bere acqua stando attento a non peggiorare la situazione.

La perfezione della luce di primo mattino

Ho seriamente pensato di chiuderla al 73° ma dopo aver pasteggiato a banane e coca cola e con 15′ buoni seduto sono tornato in controllo della situazione e persino buon umore. Riprendendo con un buon ritmo – e recuperando qualche posizione – in direzione del Monte Amiata, ho cominciato a ragionare su quanto siano “diverse” questo tipo di gare, in cui tutte quelle cose che funzionano per durate più corte (diciamo fino a 50 km) tipo calcolare perfettamente i watt sostenibili, qui vanno decisamente a ramengo, perché il corpo reagisce in modo imprevedibile alle circostanze, che a loro volta non sono programmabili (sabato faceva caldissimo ma lo scorso anno aveva piovuto per 14 ore consecutive). Il che non significa che non si possano preparare con cura e precisione, usando gli strumenti che la scienza dello sport oggi offre, ma è cosa ben diversa da gestirle “durante”, quando oltre un certo volume percorso la componente mentale diventa prevalente.

Seduto a cercare di ritrovare il controllo della situazione: mi ritiro?

E così dopo aver riperso e riagganciato Annalisa siamo arrivati nel punto più alto del percorso intorno ai 1000 m di quota, invertendo la rotta per iniziare una lunga, e sofferta, discesa al crepuscolo. Su la frontale, su i manicotti e via, con la stanchezza a farmi inciampare nei sassi ogni tre appoggi. Quanto li ho maledetti i sassi di quel bosco, io che faccio più fatica in discesa che in salita persino da fresco, figuriamoci affrontare 4 km dopo 14 ore e mezza di gara. Sono infatti arrivato distrutto all’ultimo ristoro, km 92, con ancora 10 km davanti.

Normalmente si potrebbe dire “ok è fatta” ma arrivare al traguardo da qui è stata davvero difficile. Mi sono trovato completamente solo, a camminare in mezzo alle colline deserte su queste autostrade bianche, tagliate dal vento, soltanto con i rumori degli uccelli notturni a farmi compagnia, il Fenix 5 ormai scarico spento a 97,4 km…al cospetto di un cielo pieno di stelle e di uno spicchio di luna capace di illuminare tutto quanto. Una bellezza travolgente, una grandiosità dentro a cui perdersi, ancora una volta, che sono capace di apprezzare soltanto adesso perché in quel momento riuscivo solo a fare calcoli. Stavo procedendo a 15′ minuti al chilometro, andare avanti così avrebbe significato prolungare la fatica ancora per una eternità. E così, probabilmente motivato solo dal pensiero di poter accorciare la sofferenza mi sono messo a corricchiare, sapendo che quel trotterellare mi poteva assicurare qualcosa meglio di 6 km all’ora.

In qualche modo le gambe hanno trovato modo di sostenere quel ritmo e lentamente mi sono riportato su quelli che mi avevano superato in discesa, compresa Annalisa insperabilmente agganciata ai piedi degli ultimi 2 km di salita prima del traguardo, che abbiamo potuto tagliare insieme tanto che in classifica abbiamo lo stesso tempo. 17 ore 46 minuti e spiccioli.

Chiudo un racconto anche troppo lungo con una ultima considerazione: mi sento cambiato da questa esperienza, più consapevole, cresciuto. Sbattere la faccia contro il caldo, la sensazione di essere un piccolo insignificante puntino solo dentro a un enorme universo, non potere fare altro che limitarsi a controllare quel poco che si può controllare e avere la pazienza di lasciare che il resto si sistemi da sé, con i tempi che la natura richiede e non con quelli che noi vorremmo imporgli, la necessità di volere davvero arrivare in fondo perché ti sei preso un impegno e non esiste che non lo mantieni, la necessità – ma forse è più una imposizione ambientale – di entrare in uno stato meditativo profondo in cui smetti di fare conti, al netto delle allucinazioni, non sono cose che si possono comprare al banco del supermercato. Bisogna prendere un lungo respiro e immergersi nel sogno. Ne vale la pena.

p.s. nel week end, e non solo, ho conosciuto persone con grandissima esperienza e grandissime capacità prestative nelle ultra. Non posso far altro che ringraziarle per la saggezza che hanno voluto condividere con un novellino, che ancora una volta ha zero da insegnare e soltanto da stare in silenzio ad ascoltare. Un pensiero in particolare a Roberto, Maurizio e naturalmente alla mia socia Annalisa, sempre presenti quando i dubbi mi assalgono.

Nulla di più gratificante che arrivare in fondo a una gara difficile

 

 

 

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Come preparare la maratona in poco tempo…ma pur sempre in modalità nerd

Quando #TheRunningPitt (trovate qui il suo punto di vista su questa faccenda) mi ha chiesto di accompagnarlo nel percorso di rientro alla maratona è stato normale confrontarsi con il suo PB sulla distanza, e quindi costruire un programma di lavoro che mirasse a abbattere le 2h29’.

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#TheRunningPitt + #CoachTower: combo felice

Come sempre accade però la teoria si scontra con le circostanze della realtà, che per noi si sono tradotte in 4 settimane iniziali (sulle 12 complessive di periodo specifico) a dir poco difficoltose sotto il profilo della continuità dell’allenamento, per ragioni non strettamente sportive.

Insieme abbiamo quindi ripensato all’evento incastonandolo in una logica di lungo periodo, ri-assegnando il cartellino di A Race a Londra (maggio 2018) e cominciando a considerare Firenze come una occasione per ricostruire senza fretta il Pitt “runner da tempo” e come un banco di prova capace di darci riferimenti sensati alla programmazione di Londra. Nessuna aspettativa di tempo, quindi.

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Tutto quello che volevate sapere sul Norseman…

Prologo

E’ buio pesto a Eidfjord alle 4 del mattino del 4 agosto. Un buio denso, rischiarato da due fari alogeni la cui luce bianca e fredda si riverbera, per diventare ancora più tagliente, contro un massiccio parallelepipedo di ghiaccio posto davanti alla minuscola porta di ferro di un battello. E’ il traghetto che tra poco porterà i 250 iscritti al Norseman in mezzo al fiordo. La stessa imbarcazione che ho visto decine e decine di volte nei video riassuntivi della gara, che avevo cominciato a sognare anni fa, non appena ho conosciuto il triathlon. E’ rimasto a galleggiare in una dimensione onirica per tanto tempo, e anche adesso che ce l’ho davanti, in tutta la sua ferrosa materialità, non sono sicuro che sia lì per davvero. Continua a leggere


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Ma non ti annoi in tutto quel tempo?

Se la preparazione di un Ironman è un viaggio, la gara in sé e per sé è un rito di meditazione. Come per l’arte, anzi la scrittura citando un po’ alla larga Socrate e Platone, ciascuno ne dà la propria interpretazione in funzione di ciò che è. Per me è un momento di grande intimità, a guardarlo in maniera razionale ben più di un momento,”specialmente se sei lento” direbbe qualcuno. Undici ore e spiccioli domenica a Klagenfurt.

“Ma non ti annoi?” mi domandano. Io rimango sempre interdetto, perché come faccio a spiegare che quando sei lì dentro spazio e tempo si deformano, perdendo la loro forma socialmente accettata per diventare una sorta di stramberia governata da leggi fisiche incomprensibili al comune senso del reale?

Il giorno di gara il frullatore ad effetto straniante si accende intorno alle 4 del mattino. Qualcuno deve aver messo il tasto della velocità su “max” perché in un attimo tra colazione e recupero dello zaino è già ora di catapultarsi in zona cambio. Rimetti le ruote alla pressione giusta, piazza la borraccia sulla bici, attacchi il Garmin (accendi, controlli che agganci fascia cardio e Vector, spegni), vai alle sacche a mettere giù la roba da mangiare. Controlli, ti allontani, ritorni a controllare di non aver fatto qualche casino mischiando il materiale bici con quello corsa. Un delirio mentre il tempo corre e tu ancora hai da infilarti la muta.

Una volta in griglia la velocità passa al minimo. Sei lì con il cuore che batte a mille, intruppato nella procedura di partenza, ad attendere il colpo di cannone. Sembra un’eternità, poi il rumore sordo, sobbalzi tu, sobbalza il cuore e in un attimo sei in acqua. I 3,8 km di nuoto, che odio, non sono esattamente…nuoto. E’ più sopravvivenza, a guardare le boe per non percorrere strada a vuoto, a stare lontano dai calci e dai pugni, a cercare qualche scia. Il finale di Klagenfurt poi è un canale largo penso meno di 10 metri dove si procede affiancati in 4 o 5 e dove non c’è scampo al pestaggio. Essere tirati fuori di li e andare a prendere la bici è una benedizione. Uscire senza il naso rotto o uno zigomo tagliato è già un miracolo. 1h16′, avanti.

E’ adesso che, almeno per me, il tempo comincia a scorrere davvero a velocità supersonica. A seconda dei percorsi mi servono tra le 5h30′ e le 6h per completare 180 km. Non mi annoio mai. E’ come se qualcuno avesse girato una clessidra piena di sabbia, sai che devi ritornare al punto di partenza prima che l’ultimo granello cada se vuoi centrare il tuo obiettivo. E’ una lotta micidiale in cui mille pensieri si accavallano: sto tenendo la potenza che mi serve? si ma il cuore è 2 battiti più su di quando dovrebbe. Allora allungo il rapporto così recupero di cuore…però ora si sale e se scendo troppo di cadenza mando in crisi la gamba. Cazzo. Un gioco bellissimo, un lavoro di consapevolezza che non riesco a replicare a questi livelli in nessuna altra occasione.I secondi scorrono, più veloci dell’asfalto sotto le ruote. E in un attimo sono 5 ore e 42 minuti. Di già.

Quando salti giù dalla bici e inizi a correre tiri un sospiro di sollievo. Adesso sta solo alle tue gambe portarti in fondo. Dovresti andare a 5’20” – 5’25″/km ma ti senti bene, le gambe girano da sole e l’orologio dice 4’45”. Facendo una botta di conti vedi che così quei 12′ persi un po’ li recuperi. Davanti ci sono i tuoi amici a fare da riferimento, magari li prendi. E spingi, diventi ancora di più una cosa meccanica. Non esisti, funzioni. Respiri, muovi le gambe e mangi ogni 5 km, bevi ogni 2,5. I ristori sono tutti uguali, anche la sequenza con cui prendi i rifornimenti diventa routine. La mente si spegne, non esiste niente altro che il conto alla rovescia della distanza mentre aggiorni in tempo reale la proiezione finale. Giri la mezza a 5’10” e cominci a sognare le 3h45′ finali, ma come in ogni maratona Ironman piano piano la prestazione degrada, fino a che negli ultimi 6 km anche solo pensare di scendere sotto i 5’40″/km fa partire crampi ovunque. I secondi scorrono inesorabili quando capisci che hai bucato le 11h di 8′. Maratona in 3h54′ alti ma gli ultimi 100 metri sopra al tappeto del rettilineo finale sono pura gioia lo stesso. E già non vedi l’ora di riprovarci.IMG_4002

 


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Odi et amo, maratona

Firenze1

Odio e amo. Per quale motivo io lo faccia, forse ti chiederai.
Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento.

Maratona,

sappi che ti odio. Ti odio perché non riesco a sottrarmi al tuo fascino. In un anno in cui avevo le medaglie di tre ultratrail, quattro mezzi e un Ironman intero non c’era alcuna ragione al mondo per cui dovessi impegolarmi in questa storia con te. Eppure con il pettorale sotto al naso, come facevo a resistere alla tua tentazione? Continua a leggere


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Il sole te lo devi guadagnare (semi Cit.)

Mi chiedo spesso per quale sbilenca motivazione mi vada sempre a cacciare nei guai.

Prima la maratona, e vabbeh, poi il triathlon, e passi, ma dal momento zero è stato “voglio fare l’Ironman” senza manco sapere cosa fosse. E la novità del momento? l’Ultratrail, ovviamente, della serie “facciamoci del male” (o del bene, a seconda dei punti di vista).

La vista odierna dalla cima della Grigna Settentrionale

La vista odierna dalla cima della Grigna Settentrionale

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L’arsenale del triatleta – Asics Muscle Support

E’ vero, il senso comune dice che per correre bastano una maglietta, una paio di pantaloncini e un paio di scarpe. E se negli anni ’80 questo significava “qualsiasi” tipo di indumento\accessorio afferente alle suddette categorie oggi è ormai chiaro a tutti (anche ai debuttanti) che l’abbigliamento fa la differenza, sia in termini di prestazione (e questo è particolarmente evidente se pensiamo alle scarpe, vedi cronaca di un PB sulla mezza) che di comfort e recupero, questi ultimi forse gli aspetti più importanti e al tempo stesso più sottovalutati.

Nel mio armadio – che contiene ormai più materiale per nuotare, pedalare e correre che abiti per il lavoro – si sono aggiunti da un paio di mesi due capi ipertecnici che sorprendentemente mi hanno aiutato a affrontare il carico di allenamenti di febbraio\marzo (pesantissimi) ma anche il meteo ballerino e francamente irritante che ci ha accompagnati in questo fine inverno senza inverno: la maglia Inner Muscle  Zip e i pantaloni Leg Balance Tight di Asics.

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La lasagna della mamma vince su tutto – Week 7 IM Klagenfurt

Ancora un discreto carico su braccia e gambe con una settimana in cui molto diligentemente mi sono preso anche una giornata, venerdì, per stretching, core stability e soprattutto potenziamento della parte alta per scongiurare il rischio di recidive infiammatoria alla cuffia.

L’inizio è stato tutto sommato soft. Continua a leggere