L'era del Ferro

Dal divano alla finish line

Ironman Barcellona: datemi una crisi che ve la risolvo

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Ogni Ironman è un universo a sé stante, non esiste una gara uguale all’altra e in ognuna ci sono difficoltà da gestire e momenti di grande gioia, ben prima del traguardo. Il mio di Barcellona è stato l’IM più complicato e veloce allo stesso tempo, quello in cui la testa ha dovuto funzionare di più ma non per gestire lo stress emotivo come mi era accaduto in precedenza, questa volta si è trattato di muoversi in condizioni avverse per mare, per aria e per terra. Una grande lezione di “crisis management” che cercherò di applicare alla mia vita e perché no, magari passare a chi si occupa di organizzazioni che ogni giorno affrontano la sfida della competizione. Intanto mi godo queste 10 ore 49 minuti e 42 secondi, con cui cancello le 11 ore 1 minuto e 48 secondi di Klagenfurt. Il muro delle 11 è rotto finalmente.

Nella pancia della balena

Che non sarà facile neanche questa volta lo capisco dopo poche bracciate. Il mare è un gigantesco animale vivo e noi siamo nella sua pancia. Un bel metro d’onda nei primi 200 m  poi virata a destra e improvvisa quiete. Anzi molto più che quiete, c’è corrente a favore, forte, la sento che mi spinge in avanti potente e non posso fare a meno di pensare che dopo 1450 m così ce ne saranno 1750 nella direzione opposta. “Tieniti le energie per dopo” continua a ripetermi ma intanto l’orologio corre e intorno a me nessuno sembra volersi risparmiare. A tratti sono da solo ma altrettanto spesso incrocio la traiettoria con gli avversari.

Fila tutto liscio fino alla doppia virata a sinistra davanti al faro che ci rimette in direzione Girona, verso l’uscita acqua. Come al solito alla boa tutti a cercare la posizione migliore e come al solito c’è rallentamento e poi ripartenza da spezzare i polmoni. Non faccio in tempo a dirmi che adesso posso riprendere il mio ritmo che totalmente inaspettato arriva un calcio in faccia. Mi mozza il fiato, per un attimo non capisco niente e subito dopo realizzo che la lente destra si è spostata, entra acqua. Non so esattamente come, forse perché di situazioni difficili in mare ormai ne ho accumulate tante, riesco a mantenere la lucidità per alzare le anche e rimanere orizzontale, remare con il braccio sinistro mentre con la mano destra faccio uscire l’acqua e, che la fortuna aiuti gli audaci, rimettere lo svedese al suo posto, bello incollato alla faccia. Due bracciate e sono di nuovo in ritmo.

Prova numero uno passata. Ci vogliono 1 ora e 13 minuti per uscire dal mar mediterraneo, tutto sommato un bel lavoro date le condizioni.

Giochiamo a scacchi

Un po’ ubriaco in qualche modo riesco a togliere la muta e mettermi in assetto bici senza dimenticare nulla. Il giro bici (da percorrere due volte e mezza) l’ho visto ieri, è veloce, anche troppo veloce. Invita a spingere nella prima parte, nella seconda si trasforma in un trappolone con leggero falsopiano in salita (che soffro) con i primi e gli ultimi 20 km leggermente vallonati (sui quali di solito volo). Mi sdraio sulle aerobar cercando di non strafare, l’unica mia preoccupazione è gestire il sotto-sella (mio) che ha qualche escoriazione causata dai lunghi in bici delle settimane precedenti. Non riesco a stare appoggiato sulla punta per fare la massima velocità e questo mi salva la gamba di sicuro.

Passo lo split al 75° km (sostanzialmente la fine del primo giro) a 34,8 km/h e mi spunta un ghigno sulla faccia. Ma mai sfidare l’Ironman, in pochi minuti la situazione cambia radicalmente: comincio ad avvertire i primi dolorini alla pancia che intorno al 110° km si trasformano in fitte lancinanti che mi impediscono di stare in posizione crono. Vedo la velocità scendere drasticamente e comincio a essere infilato da sempre più persone. E’ il momento di mantenere la calma, provo a ripassare tutte le sequenze e mi rendo conto che il problema peggiora ogni qual volta mando giù i sali. So perfettamente che non prenderli significa condannarsi ai crampi ma se non faccio qualcosa in fretta comprometto la giornata. Passo all’acqua semplice e ripartisco l’alternanza di banane e gel più verso le banane nella speranza che mi aiutino a contenere il problema. In una gara così lunga ogni mossa influisce su quelle successive. Bisogna pensare trenta volte prima di fare qualcosa e bisogna continuamente riflettere su quello che accade fuori, ascoltando al tempo stesso il proprio corpo: è un’attività di analisi incessante e per farla bene si deve essere spietati con se stessi.

Poco a poco il dolore diminuisce fino a sparire, sono ormai al 140° km e davanti a me ho il tratto di mangia e bevi su cui so di poter rendere bene. Attacco le salite fuori sella, vedo le pulsazioni salire (buon segno, significa che dentro ho ancora benzina a alta qualità) e chiudo la bici poco sotto le 5 ore e mezza. Non faccio mai calcoli durante un Ironman ma lo so che sono più o meno in zona 10 ore e 45. Si tratta solo di correre 42 km per bene, adesso.

Nostra la scelta, nostra la responsabilità

E così, mi dico mentre trotterello fuori dalla T2, sei arrivato fin qui con un tempone sapendo perfettamente che adesso pagherai la scelta che hai fatto. Neanche 2 km e arriva il primo crampo, ischio crurali a destra andati. Mi appoggio a un albero e tiro finche non si sistemano, poi il solito siparietto con me che cerco di ripartire e i crampi che tornano, di nuovo albero e così via. Butto via un minuto buono mentre intorno a me va in onda una scenetta fantozziana: uno spettatore accorre per tenermi su (anche se non ne ho davvero bisogno, ho il mio bell’alberello) e un’altro gli dice “no no, non toccarlo, può essere squalificato”. Tutto questo in spagnolo mentre io non so se piangere di disperazione perché ho davanti altri 40 km oppure di divertimento per l’esilarante situazione che si è creata.

Riparto tra un tifo indiavolato (la gente vuole carne e sangue, c’è poco da fare) e incredibilmente mi sento bene. Passo ai 7 km a 4’39” (!!!!) e con buone sensazioni giro forte tra un ristoro e l’altro. Alterno solo liquidi alle banane (ma quante banane avrò mangiato domenica?) e raggiungo la mia amica Silvia “Pippi” Schiapparoli (che finirà poi qualche minuto davanti a me magnificamente 6° di categoria e 2° italiana assoluta). Andiamo alla grande, è di nuovo uno di quei momenti che aspetto per un anno, il raggiungimento del mio Nirvana in cui tutto funziona semplicemente perché scorre, senza che né la mia testa né il mio corpo debbano fare alcunché. Ci lavori un anno per sentirti così al massimo 10 minuti ma è un’esperienza così incredibile che ne vale davvero la pena.

Cuore e polmoni stanno benissimo ma di nuovo comincio a pre-avvertire la sensazione dei crampi in arrivo, devo mollare, lascio andare Silvia e poco dopo arriva Martina Dogana, all’ultimo giro, che trova il tempo di leggere la mia difficoltà e sussurra un “forza forza”. Bello non sentirsi soli e soprattutto trovate un altro sport dove un professionista non solo divide il campo di gioco con un amatore ma gli fa anche il tifo. Solo il triathlon.

Passo da una media di 5’15” nei primi 10 km ai 5’30” dei secondi 10. Controllo la cadenza per non finire nella “crampi zone” gestendo la planata verso l’aeroporto di Calella. Tutti si immaginano che un Ironman sia una gara dove conta la forza e invece questa è una gara dove sono consapevolezza, controllo, freddezza a fare la differenza tra il raggiungimento dell’obiettivo o meno. Certo serve anche la preparazione fisica ma solo con quella non si arriva da nessuna parte.

Tra il 20° e il 30° salgo a 5’45″/km e gli ultimi 10 km li faccio a 6’00” anche a causa di un altro stop per crampi. Come sempre si raschia il fondo del barile ma ormai è finita. Imbocco il tappeto rosso dell’arena d’arrivo sentendo le farfalle nello stomaco. Il cuore riprende a battere forte, fortissimo e quando guardo il mio fido Garmin 920XT, compagno di un anno di fatiche, mi rendo conto che nonostante i problemi ho sgretolato il mio personale di 13′, scendendo finalmente sotto le 11 ore. Cammino a un metro da terra anche perché so che dietro di me sono in arrivo i miei ragazzi, tutti al debutto. Ma questa è un’altra, bellissima, storia.

p.s. per i malpensanti: nella foto Marco è appena stato sorpassato. Dopo lo scatto ha ristabilito i 10 m.

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