L'era del Ferro

Dal divano alla finish line


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365 giorni

Un anno fa tagliavo il traguardo di Panama City Beach e diventavo un Ironman.

Mi avevano detto che finire la tua prima gara è come nascere per la seconda volta. Era vero.

Non è che non si fanno più errori o si diventa indistruttibili, anzi. E’ che si diventa molto più consapevoli di ciò che siamo, di ciò che non siamo, di ciò che vogliamo essere e di ciò che non saremo mai.

E poi, questo non potevo immaginarlo, si diventa anche responsabili. Che ci piaccia o no quando si indossa maglia da finisher diventiamo un riferimento per gli altri, per chi ci guarda sognando di raggiungere lo stesso obiettivo e anche per chi ci guarda prendendoci come simbolo di una follia da crisi di mezza età.

Sta a noi trasmettere il significato più vero dei chilometri e della fatica, oppure trasformare tutto in un esercizio narcisistico.

La parola responsabilità, dopo che ho passato quel traguardo, ha assunto un significato tutto nuovo. Sono un privilegiato.

2 novembre 2013: nato per la seconda volta

2 novembre 2013: nato per la seconda volta

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Teoria della relatività

Sono in Scozia da una settimana. Ho visto Edimburgo, visitato distillerie di Whisky, osservato i Border Collie prendersi cura delle pecore e pedalato in Mountain Bike attraverso le Highlands, quasi sempre sotto la pioggia, imparando una cosa fondamentale: non esistono condizioni meteo che possano impedire agli scozzesi di fare le loro attività all’aperto.

Loro corrono, vanno in bici, fanno trekking, campeggiano, passeggiano, pascolano il bestiame, organizzano eventi, fregandosene bellamente dell’acqua, del vento, del freddo. Sono organizzati ed equipaggiati, hanno un sistema di manutenzione del territorio straordinariamente efficiente, e si godono la magnificenza della natura a queste latitudini.

Non avendo alternative ho fatto mio lo spirito locale, riuscendo a portare a termine tutto quello che avevo in programma compreso il viaggio in bici lungo il Great Glen, la faglia che separa le Highlands settentrionali dal resto dell’isola britannica, nonostante il meteo ballerino. Un’esperienza meravigliosa attraverso una terra magica, di quelle che ti rimangono nella memoria per sempre.

Avrei potuto rinunciare? Certo che sì, se avessi dato retta alla vocina della zona comfort “piove a dirotto, le strade sono allagate, fa freddo e chissà in che condizioni sono i sentieri”. Invece il “metodo scozzese” ha funzionato alla perfezione, facendomi concentrare sull’obiettivo e sulle strategie necessarie a raggiungerlo, anziché bloccarmi davanti agli ostacoli.

Dalla pioggia e dal freddo ci si può riparare, il fango può rallentarti ma non fermarti o addirittura rendere più interessanti certi tratti di strada banali. E poi una doccia calda e un termosifone bollente mettono a posto ossa e vestiti, quasi quanto il Whisky dopo cena in un pub affollato e accogliente.

Ecco cosa mi porto a casa da questo popolo: non esistono condizioni sfavorevoli ma solo persone non abbastanza determinate da adattarsi alla situazione e trovare il modo di passare sopra ai problemi. In fondo quella che in Italia sarebbe una giornata brutta qui viene considerata splendida. E poi a infilarsi dentro a un acquazzone a tutta velocità magari si sbuca dalla parte opposta trovando un panorama da favola. Il brutto, l’impossibile, il non si può, il non ci riesco non è mai assoluto, la misura siamo sempre e solo noi stessi.

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