No, non mi riferisco allo spazio che separa la stratosfera dalla superficie del pianeta terra, riempito da un tizio austriaco che di nome fa Felice (più che un nome una dichiarazione programmatica), e neppure ai bicchieri di birra che amo svuotare (e conseguentemente ripristinare) dopo ogni garetta (la birra è la bevanda dell’atleta, è risaputo) ma a questo periodo forzato senza lavori specifici o obiettivi capaci di caricarmi e motivarmi a dovere. Un horror vacui irrazionale che mi premuro di coltivare con cura da sempre, e dal quale mi difendo riempiendo l’agenda di cose da fare (sostanzialmente creando muri sempre più alti per avere poi la soddisfazione di scavalcarli) così che non sia costretto a rimanere neppure un attimo inerte e solo con i miei pensieri.
Eppure il tempo è passato, le settimane si sono allineate ordinatamente una dietro all’altra e oggi se guardo indietro vedo in questa non-stagione una ricchezza inaspettata. Ho scoperto il piacere di correre solo per il gusto di sudare un po’ producendo endorfine, cambiare i percorsi assecondando la bellezza della luce di una strada rispetto ad un’altra o semplicemente modificare l’itinerario per vedere dove scappano lepri e scoiattoli quando ci incrociamo sul sentiero al confine del bosco (si infilano sempre per la stessa stradina, ero curioso).
Settimane in cui ho avuto il privilegio di scambiare qualche chiacchiera con atleti affermati (tra cui un campione del mondo di ciclismo che non è che si incontra tutti i giorni; ne ho approfittato per ottenere consigli di guida), crearmi un meraviglioso gruppo di compagni di allenamento in piscina, accelerare quando avevo voglia di andare più veloce, rallentare quando bicipiti o quadricipiti segnalavano al Capo (l’eminenza grigia che sta sempre bella comoda dentro il cranio) che andare a spasso è bello ma ad un certo punto si sta bene pure seduti.
Insomma, sport o non sport, Ironman o bocce che sia, è evidente che alla fine nella vita conta molto di più l’atteggiamento con cui si affrontano le situazioni, piuttosto che le situazioni in quanto tali. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, direbbero i più. E invece no, difficilissimo è prenderne coscienza, avere la percezione nel momento in cui siamo in difficoltà (perché la stanchezza sta prendendo il sopravvento, perché la pioggia è forte, perché il nostro intestino si sta ribellando contro di noi) che nel 99% dei casi i problemi sono affrontabili e risolvibili, a patto di trovare dentro di sé la forza e la determinazione per scegliere di esserne i controllori e non i controllati. Una volta accesa la lampadina fare qualcosa per cambiare l’inerzia delle cose è il meno.
Alla fine credo finirò con l’ammettere che anche questo strano periodo di vuoto è servito. Perché ho scoperto che il vuoto non esiste se hai abbastanza creatività per plasmarlo in ciò che vuoi.