L'era del Ferro

Dal divano alla finish line


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Guardarsi dentro, non indietro

Il 1967 fu l’ultima stagione del Campionato del Mondo di F1 prima dell’apparizione di appendici aerodinamiche sulle vetture. Anche se l’evoluzione tecnologica aveva già ampiamente iniziato a dispiegare i suoi effetti da tempo (basti ricordare la ritrosia di Enzo Ferrari nel passare al posizionamento posteriore del propulsore), e da lì in avanti si sarebbero succedute innovazioni all’epoca inimmaginabili per tipologia e numerosità, quel passaggio storico rimane particolarmente significativo perché rende evidente in modo visivo, concreto, irrefutabile, la forza irresistibile del progresso scientifico-tecnico.

Come allora, oggi sono gli sport di endurance che stanno subendo lo stesso processo di violenta accelerazione tecnologica, sia sugli atleti sia sugli attrezzi (le scarpe nella corsa come abbiamo visto domenica a Valencia, le biciclette in generale e in particolare la parte aerodinamica nelle specialità a cronometro del ciclismo e del triathlon) e come allora ci sono persone che guardano con paura a questo fenomeno, pensando che sia in qualche modo resistibile in nome di concetti quali “l’amore per lo sport” o il “romanticismo”.

Dimenticano che la competizione, nello sport come in campo economico e come in natura (darwinaniamente) è di per sé un processo volto a rendere più efficiente il sistema. Quel che non serve viene rimosso, le opportunità di miglioramento vengono sfruttate, le innovazioni che consentono ai partecipanti di aumentare le proprie possibilità di vittoria prevalgono. Per vincere si fa tutto quello che si può, tanto da rendere necessaria una autorità di controllo affinché nessuno porti il gioco fuori dal perimetro all’interno del quale deve essere giocato. Che si tratti del corpo dell’atleta o dello strumento che utilizza.
E’ vero che solo un superficiale potrebbe avere cieca fiducia (quale ironia, d’altra parte, in un sistema fondato sulla razionalità) in un modello della realtà esclusivamente positivistico-meccanicistico, perché la scienza non può essere considerata né utilizzata come un fine in quanto tale. Perché dentro all’abitacolo, sopra una bicicletta, a calzare un paio di scarpe, c’è sempre e comunque un essere umano, e pertanto un meccanismo così complesso che per quanto bravi possiamo essere a calcolarne i valori fisiologici, mantiene una componente sfuggente alla capacità di calcolo, in quanto il nostro paradosso è di essere finiti contenendo allo stesso tempo il concetto stesso di infinito, semplicemente desiderandolo. O almeno lo speriamo, e se anche così non fosse sarebbe comunque sufficiente a renderci speciali, a renderci per l’appunto pienamente umani.

E quindi a parità di potenza, lattato, vo2max, fibre muscolari di questo o quel tipo e più ve ne vengono in mente più aggiungetene, è sempre un’incommensurabile volontà personale e individuale a fare la differenza. A volte persino non a parità, a volte persino se la fisica e la chimica dicono che è in svantaggio (ma non troppo).

Tutto ciò almeno sino a quando non avremo imparato quali sono tutte le variabili che comandano la volontà oggi non misurabili, e non avremo strumenti abbastanza potenti per computarle. Facciamo tutti il tifo perché non ci si arrivi mai davvero, del tutto. E ci perdonino tanto i professionisti che si occupano di psicometria tanto chi lavora nel campo della sociologia. Lo sappiamo bene che una scienza senza la sua metrica non è abbastanza scienza per stare al pari di quelle che si reggono sulla matematica.

Nel frattempo però, nonostante debba ammettere che non tutto è possibile spiegare e non tutto è possibile inferire pur maneggiando con la più alta maestria gli strumenti analitici, nessuno si illuda comunque di poter fermare la storia: la scienza e di conseguenza la tecnologia non verranno espunte dallo sport, nel dalla nostra vita, per fortuna. Forse il fascino dello sport sta proprio in questo precario equilibrio, tra la spinta a andare avanti e quella a guardarsi dentro, più che indietro. Quasi ci trovassimo al cospetto di un ponte tra le grandi branche della conoscenza: le scienze naturali le scienze sociali\giuridiche\economiche, le arti.

We’re humans, after all.

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