L'era del Ferro

Dal divano alla finish line

Applicazioni matematiche per la valutazione metabolico-meccanico-cinematica della corsa – parte 2

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Nel primo articolo dedicato all’introduzione della potenza nella corsa abbiamo avuto modo di conoscere le nuove metriche che il canale “power” ci permette di calcolare. Se vi siete persi la prima puntata prima di proseguire leggete qui.

In realtà questi nuovi marker sono ciò che il sensore di potenza più o meno misura direttamente e le tracce ottenute di per sé stesse non sono molto interessanti se vogliamo capire come le componenti metaboliche, meccaniche e cinematiche del runner influenzano la prestazione.

Grazie al lavoro realizzato principalmente del celeberrimo Dottor Andrew Coggan (attualmente insegnante del corso Physiologic Basis of Human Performance presso l’università dell’Indiana), del tecnico Californiano Steve Palladino (medico specializzato in chirurgia del piede e della caviglia e ora guru nell’allenamento della specialità del cross) e del coach di San Diego Jim Vance, autore di “Running with Power”, la scienza dello sport è stata in grado nel giro di qualche anno di fornire agli allenatori una straordinaria cassetta degli attrezzi per l’acquisizione, elaborazione e correlazione di dati.

Quando ho iniziato a osservare gli scarichi dati di corse acquisite attraverso il power meter Stryd (qui il white paper relativo alla validazione del sensore) naturalmente il primo pensiero è stato quello di capire come utilizzare il dato potenza per guidare l’allenamento, esattamente come da anni avviene nel ciclismo. Questo aspetto è importante ma “guidare l’allenamento” per mezzo della potenza è soltanto l’ultimo passo di un processo che deve partire da una caratterizzazione dell’atleta. La corsa è infatti è una modalità di esercizio basato su un sistema elettro-meccanico a geometria variabile sostenuto e alimentato da diversi substrati energetici (Incalza, Allenare la Resistenza, 21 ottobre 2017 – Formazione CONI Scuola dello Sport). Essere in grado di creare un vero e proprio profilo individualizzato del runner per ogni sistema attivato ad ogni intensità di interesse mi pare una promettente prospettiva capace di rendere l’allenamento più efficace.

Andy ha cominciato a lavorare sulla scomposizione del costo metabolico della corsa da tempo, arrivando a sintetizzare i tipi di potenza partendo dall’analisi che vedete qui sotto. I dettagli tra le diverse forme di potenza (orizzontale, verticale – ovvero la cosidetta “form”, di elevazione, laterale, interna e esterna) li trovate nel post precedente.

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LA METRICA CHE FA LA RIVOLUZIONE: RUNNING EFFECTIVENESS

Insieme a questo modello Coggan ha letteralmente “inventato” il parametro Running Effectiveness, capace di descrivere quanto il runner sia efficace nel trasformare la potenza in velocità, definita come velocità su potenza, ovvero (m/s)/(W/kg) o kg/N. Perché in fondo quello che ci interessa è correre più velocemente, e non produrre più potenza. No?

Basta guardare la formula che lega velocità, RE e potenza per capire la sua forza:

Speed = RE x Power

Significa che conoscendo RE e Power siamo in grado di sapere la velocità e quindi il tempo in cui il nostro atleta chiuderà la gara.

Non solo, sapremo che a parità di potenza erogata (quindi della componente strettamente metabolica) l’atleta dovrà essere in grado di tenere agganciata una certa efficacia (che ha implicazioni più meccanico-cinematiche) per ottenere il risultato cercato. Significa in sostanza sapere dove andare a mettere le mani, dirigendo la programmazione degli allenamenti verso gli aspetti che richiedono più miglioramenti, o in aree che consentono un margine di miglioramento.

A dire la verità sarebbe più corretto dire che siamo in grado di misurare non tanto la potenza, quanto il costo metabolico della corsa, il che equivale a dire che andiamo in giro con un sensorino da 200 dollari o meno al posto di una costosa strumentazione per la misurazione degli scambi gassosi da decine di migliaia di euro.

LE METRICHE EVOLUTE

Sulle intuizioni di Coggan ha lavorato successivamente Steve (tra l’altro ogni tanto i due discutono di come sviluppare il modello e non si risparmiano anche punzecchiature circa le rispettive idee ma anche preziosi spunti come vedremo più avanti) che ha riempito la preziosa cassetta degli attrezzi che oggi possiamo portarci utilmente sul campo – o in laboratorio. Ovvero:

Potenza (più avanti definita come Stryd Power o Total Power)
Non predittiva della prestazione ma tendenzialmente se aumenta è meglio. E’ uno dei marker principali del miglioramento prestativo (più potenza a parità di tempo o pari potenza per una durata maggiore)

Rapporto potenza/peso (Power:Weight Ratio)
Permette confronto tra atleti diversi, più alto il valore maggiore il potenziale prestazionale. Come sopra è un marker di miglioramento (maggiore rapporto potenza/peso a parità di tempo o pari potenza/peso per una durata maggiore)

Running Effectiveness (Efficacia di corsa)
Quanta potenza viene tradotta in velocità – Valori ottimali >1, eccellenza da > 1,05; non significativa con variazioni di pendenza perché la salita ovviamente sopprime la velocità e viceversa la discesa la amplifica)

External Power (Potenza Esterna)
Costo della potenza verticale + potenza orizzontale (costo di frenata e accelerazione del centro di massa) +/- potenza di superamento del dislivello

Internal Power (Potenza Interna)
Costo del movimento delle braccia e delle gambe

Oscillation Power AKA Form Power (Potenza di oscillazione o Potenza di “postura” o Potenza Verticale)
Potenza verticale, ovvero il costo del rimbalzo sul terreno

Horizontal Power Ratio = Total Power – Form Power (Frazione di Potenza Orizzontale)
La componente di potenza utile al puro avanzamento longitudinale, più alto il valore più alta l’efficienza. In realtà questo marker è meglio prenderlo con le pinze. Infatti come si vede dal diagramma di Coggan è il risultato del costo di frenata (ogni volta che appoggio) e del costo della riaccelerazione (ogni volta che spingo). Se freno poco perché ho una eccellente tecnica allora devo anche riaccelerare poco. Non è vero quindi che maggiore l’HP tanto meglio. Va valutata non da sola ma insieme ai trend di altri marker.

Ground Contact Time (Tempo di contatto al suolo)
In genere valori più bassi si traducono in maggiore velocità. L’eccellenza si trova per valori <200 millesecondi

Rapporto tra potenza media e tempo di contatto al suolo (W/GCT)
In pratica ci dice quanti watt riusciamo mettere a terra nell’unità di tempo. E’ fortemente correlato in modo diretto con la velocità e buon indicatore di affaticamento. Valori più bassi indicano maggiore fatica/minore efficienza.

Leg Spring Stiffness (LSS – Stiffness muscolare)
Insieme a RE altra metrica fondamentale. E’ la quantificazione della risposta elastica dei tessuti muscolo-tendinei = velocità gratuita, più alto il valore maggiore l’efficienza. La possiamo sintetizzare come Forza ed è l’indicatore principe della capacità di resistenza all’affaticamento.

Rapporto tra Stiffness muscolare e peso (LSS/kg)
Risposta elastica normalizzata: valori ottimali tra 0.128 e 0.158 @FTP

Stride rate (cadenza)
Numero di appoggi al minuto (si usa dire che idealmente deve essere intorno ai 180 appoggi al minuto)

Stride length (ampiezza)
E’ la lunghezza del passo, ed è fortemente dipendente da lunghezza delle gambe e dalla flessibilità.

Cadenza e ampiezza dipendono dalle caratteristiche strutturali\antropometriche, dalla elasticità e forza muscolare, dalla mobilità articolare e dalla rapidità\reattività.

Cadenza e ampiezza si muovono insieme, in rapporti caratteristici per ciascun individuo, nei quali a osservare i dati sembra che sia la cadenza a guidare l’aggiustamento della corsa mano a mano che si entra nel territorio della fatica. Cioè per dirla meglio, più ci si affatica e più si riesce a mantenere costante la velocità aumentando la cadenza a fronte di una riduzione dell’ampiezza.
Penso si possa dire che è uno degli aspetti più affascinanti della corsa, trovare il rapporto ideale tra ampiezza e cadenza alle varie velocità (e gradi di stanchezza). Sul tema vale la pena di ascoltare le conferenze o leggere gli articoli del tecnico FIDAL di esperienza internazionale Piero Incalza.

Flight Time (Fase di volo)
In teoria maggiore il tempo di volo maggiore la velocità sviluppata. Quando si guardano le cose dal punto di vista delle lunghe distanza però questa uguaglianza non è rispettata, ovvero a fronte della diminuzione di stiffness e ampiezza, l’aumento della cadenza – e la diminuzione del tempo di contatto al suolo – fanno si che il tempo di volo si riduca ma non necessariamente con impatti negativi sulla velocità. C’è in sostanza una maggiore conservazione della quantità di moto…o come si suol dire “una corsa rotonda”.

ECOR
Dispendio calorico: riduzione del valore a parità di velocità significa migliore efficienza

Economy
Consumo di ossigeno: riduzione del valore a parità di velocità significa migliore efficienza. La formula per la stima del VO2max (e della percentuale di VO2max nel corso di un intera prestazione) è quella di Dijk e Van Megen, pubblicata nel libro “The Secret of Running”.

UNA PROPOSTA PER LA DEFINIZIONE DEL PROFILO METABOLICO-MECCANICO-CINETICO?

Con tutte queste belle cose a disposizione ho pensato che sarebbe stato utile riuscire a definire i valori dei marker più importanti per ogni intensità significativa, così da essere in grado di verificare i miglioramenti area per area nel corso del tempo, impostare un percorso di miglioramento controllabile e identificare come i marker stessi si muovono, da soli e/o in relazione tra loro. Per semplicità finora le acquisizioni sono fatte su tappeto, ma una volta messi su strada si sono viste correlazioni coerenti (come si vede qui comparati con un test in strada da 30′ con “buoni” solo gli ultimi 20′). I dati vengono registrati attraverso unità Stryd nel corso di un banale test incrementale a step di 0,5 km/h ogni 2′, dopo di che si ottiene una tabellina come questa:

Tabella 1

Come si vede all’aumentare del passo aumenta la potenza, come lecito aspettarsi, e con essa il rapporto potenza peso. Già qui le cose si fanno interessanti perché grazie a W/kg cominciamo a poter capire come diversi runner generano velocità usando in modo diverso le loro caratteristiche uniche.

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Tabella 2

Ad esempio si può vedere come Male 2 (cioè lo stesso della tabella 1) è più lento di 10″/km a FTP e produce meno watt rispetto a Male 1 ma ha un rapporto potenza peso più favorevole e quindi le sue potenzialità di miglioramento sono probabilmente legate a aspetti non metabolici.

Tornando alla Tabella 1, la nostra cavia migliora marginalmente la RE all’aumentare della velocità, diventa quindi più bravo a convertire la potenza in velocità. Perché? tentiamo di capirlo insieme.
Innanzitutto cominciamo a vedere un comportamento valido per tutti, ovvero che mano a mano che il passo scende la frazione di External Power diminuisce, poiché diminuisce la quota di potenza destinata al movimento verticale e nel contempo aumenta la quota che va a finire orizzontalmente (ma non scordatevi che HP è composta dal costo della frenata più il costo dell’accelerazione). E questa diminuzione di Oscillation Power trova una corrispondenza con la diminuzione del valore assoluto della oscillazione verticale. Sembra quindi che il nostro eroe alla sua miglior velocità sostenibile in una situazione fisiologica stabilizzata (parliamo di endurance ovviamente, non di velocità né mezzo fondo né fondo prolungato) trovi il suo valore di HPr a quota 77. Inoltre mano a mano che aumenta la potenza aumenta il costo del movimento di gambe e braccia, come dire che per ogni watt in più prodotto non c’è speranza di dedicare l’intero watt a un aumento di velocità.

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Tabella 3

Ma c’è chi fa meglio, il nostro MALE1 nonostante il rapporto peso/potenza leggermente inferiore riesce a sfruttare meglio i watt a sua disposizione, con una RE di 1,07 vs 1,01 e guarda caso lo 0,6% in più di Horizontal Power ratio e lo 0,6% in meno di Oscillation Power. Può quindi destinare 234 Watt per spostarsi in avanti contro i 211 di MALE2 (cioè il 10% in più contro il 9% di differenza di wattaggio totale espresso) che però corrispondono a 3,4 W/kg per entrambi! Abbiamo forse trovato la spiegazione oggettiva del concetto intuitivo di “corsa rotonda”? Davvero MALE1 riesce a correre più velocemente pur pagando lo stesso costo metabolico utile.

Ed ecco che finalmente arriviamo al secondo marker chiave, ovvero il tempo di contatto al suolo, che come ci potevamo aspettare all’aumentare della velocità diminuisce, mentre aumenta la cadenza e l’ampiezza. Non si modifica invece la percentuale di tempo di volo.

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Tabella 4

GCT è fortemente correlato alla prestazione con un tempo inferiore che garantisce una maggiore velocità. Su questo marker sarà importante cercare di capire se è una causa o una conseguenza dell’aumento prestativo, anche se intuitivamente verrebbe da dire che ne è la causa. MALE 1 nonostante una cadenza minore sfrutta una maggiore ampiezza e genera maggiore tempo di volo rispetto a MALE 2. Questo sembra essere un nodo cruciale, poiché MALE 1 è in grado di sviluppare 281,52 m/min mentre MALE 2 si ferma a 268,38 metri/min.
Indubbiamente più tempo si passa in volo (inversamente proporzionale al tempo di contatto al suolo) e più veloce si va.

Tornando al nostro caso iniziale, LSS diminuisce mano a mano che la velocità aumenta. Il che fa sollevare il sopracciglio, perché ci si aspetterebbe che all’aumentare della velocità siamo più bravi a riciclare energia dall’impatto al suolo. In soccorso viene una nota di Coggan nel gruppo di lavoro FB “Palladino Running Project” che non più tardi del 5 gennaio scorso trattando il tema del rapporto tra Oscilation Power e Horizontal Power osserva come il primo possa diminuire per via dell’abbassamento del baricentro (sink of center of mass) nella fase di contatto al suolo (stance phase), il che ragionevolmente spiegherebbe la riduzione di stiffness. E soprattutto darebbe un senso all’aumento inversamente proporzionale dei valori di impatto a terra (Forza espressa in G) che invece (come più logico) aumentano (Impact Gs 2,40 2,42 2,45 2,46 2,49 2,51 2,52). Cioè la forza verticale aumenta ma la catena piedi-gambe-bacino-core “cede” sotto di essa e quindi non è capace di utilizzarla al meglio.

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Tabella 6

Nel confronto tra i tre atleti potremmo dire che MALE 2 affondi meno rispetto a MALE 1 (che ha da lavorare sulla forza e sulla stabilizzazione) in fase di accettazione del carico così come anche MALE3 che nella stifness ha un’area di possibile miglioramento. Da notare che normalizzando i valori è MALE1 quello messo peggio. Una indicazione che oggi capisco mi viene da pensare sia correlata con la sua continua tendenza a procurarsi lesioni dei bicipiti femorali, e alla diagnosi di scarsa mobilità del bacino e accorciamento della catena posteriore che gli è stata fatta dal fisioterapista. Forse LSS può aiutarci a prevenire infortuni muscolari, non dico in modo generico ma una volta caratterizzato in modo specifico il singolo atleta.
Ritroveremo LSS in un’altra occasione quando parleremo di resistenza alla fatica (e quindi di degrado prestativo!), un contesto nel quale questa ambiguità non è per fortuna problematica.

Altro andamento comune a tutti è la riduzione dei kJ richiesti e dell’ossigeno necessario mano a mano che aumenta la velocità, un comportamento apparentemente controintuitivo (vado più piano quindi consumo meno).

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Tabella 7

La maggiore RE di MALE 1 (maggiore velocità a parità di watt, quindi minore forza richiesta a parità di velocità) si traduce in meno lavoro, quindi RE avrà bisogno di meno energia per completare la stessa distanza. Da notare che questa maggiore economia di MALE1 gli permette anche di consumare la stessa quantità di ossigeno al km pur andando 10″/km più rapidamente di MALE 2.

Se a questo punto vi è venuto mal di testa non preoccupatevi, è normale. Osservare le variabili una a una e poi cercare di correrarla è uno sforzo improbo. Ma ho due buone notizie.

La prima è che esiste una tecnica che si chiama analisi multivariata (Principal Component Analysis), capace di decifrare correlazioni su piani multipli (quindi anche per tutte le nostre variabili contemporaneamente) e la seconda che riducendo la questione a motore, forza (dove metto elasticità), propriocezione (dove metto reattività) siamo in grado piuttosto bene di dirigere il nostro runner più o meno dove vogliamo che vada, anche se le interazioni precise tra questi parametri sono sfuggenti.

Nella prossima puntata passeremo infatti a vedere in modo più applicativo, e utile, come variano i nostri marker nel tempo per lo stesso atleta, osservando così la sua risposta ai differenti stimoli.

Alla prossima puntata!!!

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