L'era del Ferro

Dal divano alla finish line

A volte, per fortuna, semplicemente esisti

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Ne succedono di cose in tre settimane. Succede che il lavoro mi assorbe così tanto che non ho nemmeno il tempo di scrivere due righe da pubblicare qui sopra. E che comunque Klagenfurt si avvicina quindi bisogna allenarsi, alla mattina prestissimo o la sera tardi, così quando arrivo a casa mangio (mai prima delle 22:00) e poi svengo immediatamente sul divano.

Non sono però passate invano perché nel giro di tre week end ho infilato Rimini Challenge 70.3, i 206 chilometri con 3800 metri di salita della Nove Colli e un supercombinato in totale solitudine da 170 km in bici e 20 di corsa. Seguiranno IM 70.3 Pescara la settimana prossima e poi una versione modificata del supercombo: 3x (50 km bici + 10 km run). Dopo di che mi auguro che si cominci a scaricare.

Cerco sempre di portarmi a casa qualcosa da esperienze così forti. A Rimini la grande gioia di un fine settimana in mezzo a tanti amici, la consapevolezza di fare parte di una grande bellissima famiglia in cui anche noi, semplici amatori, abbiamo la possibilità non solo di correre insieme ai grandi campioni ma anche di poter passare un po’ di tempo con loro, a chiacchierare di allenamenti e caratteristiche dei percorsi. Un privilegio che solo pochi sport concedono.

Tecnicamente la gara è andata bene per 2/3 perché alle ottime frazioni di nuoto e bici ne è seguita una semidisastrosa a piedi. Tutta colpa della mia leggerezza nel preparare le scorte alimentari, variando dalla mia solita dieta in corsa, una scelta che si è rivelata disastrosa per il mio stomaco. Ho sofferto tantissimo nei primi 10 km sul lungo mare di Rimini, ma almeno ne ho tratto una importante lezione: 

1)   Non sottovalutare mai più l’importanza della precisione di cosa mangi e quando lo mangi

2)   Sono in grado di gestire anche il più terribile dei dolori allo stomaco quindi “col cazzo che mi fermo” è un motto che ancora mi si addice (come al solito la Coca Cola è stata fondamentale nella risoluzione del problema)

3)   Essere in gara con amici e compagni di squadra è fondamentale perché senza Jacopo che mi diceva “dai stai tranquillo che si sistema tutto, non fermarti” o Silvia che mi sgridava ogni volta che mi incrociava se non stavo correrendo, probabilmente sarei ancora fermo sul marciapiedi di fronte al bagno 62.

Sette giorni dopo mi sono ritrovato ancora in riviera romagnola, ma solo qualche chilometro più a nord, con la partenza da Cesenatico della mitica Nove Colli. Non sono un ciclista e confermo che non mi piace l’ambiente del ciclismo, tutti troppo seri, a guardarsi male, zero sorrisi, atmosfera lugubre in partenza, zero solidarietà in gara, pochissime parole scambiate (in 8 ore) e un generale senso di ostilità di tutti nei confronti di tutti. Meglio il triathlon e il running, decisamente.

Non avevo mai fatto più di 180 km e non ero mai andato oltre i 2500 metri di dislivello. Sono partito pieno di dubbi e con la paura di non farcela, tanto che solo all’ultimo metro ho preso la decisione un po’ incosciente di fare il lungo (come richiesto dal coach). E’ vero, la Nove Colli inizia dopo il Barbotto (duro sì, ma non tanto quanto quello che viene dopo) e sono molto orgoglioso di essere arrivato in fondo a una gara terribile e affascinante. Peccato, davvero peccato, essere andato bene fino agli ultimi 20 km di pianura finali, dove con le gambe cotte non mi attaccavo più a un treno neanche a gettare una corda. Avrò buttato via 10’ buoni e così ho finito in 8h15’ a 25 di media, un quarto d’ora di troppo rispetto alla proiezione che avevo una volta scollinata dall’ultima e terribile salita.

E arriviamo a ieri, con un allenamento durissimo sulle bellissime strade tra le province di Grosseto e Siena, con 4 salite tra cui quella davvero impegnativa di Montalcino. Sei ore e dieci in totale solitudine sulla Argon con le gambe conciate piuttosto male (decisamente non smaltita la Nove Colli) e un errore nel percorso che a portato a 170 i chilometri complessivi contro i 150 che avrei dovuto fare. Stanco, da solo, lontano da casa e su un percorso sconosciuto non mi sono proprio goduto la giornata ma ho pedalato discretamente con una sola sosta nel finale a Buonconvento perché avevo una gran voglia di acqua fredda e una Coca.

Rientrato alla base mi sono cambiato (sì lo so, un lusso che in gara non è concesso) e ho cominciato a correre sull’unico tratto di strada con pendenze non impossibili qui nei dintorni, uno sterrato su cui ho ricavato un percorso a bastone di 2,5 km con cui ho potuto simulare la sequenza dei rifornimenti in gara. Ancora una volta la corsa in transizione si è rivelata una magia, con la giusta alimentazione ho potuto staccare completamente il cervello e mettermi lì a eseguire il compitino, fermandomi a 20 km perché ormai cominciava a essere veramente tardi ma con la consapevolezza di poter andare avanti tranquillamente. Per di più pendenza e fondo sterrato sono stati ben più allenanti che coprire l’intera distanza su superficie liscia e pianeggiante.

Ora, è evidente che questa sequenza di lunghissimi sia pesante da sopportare e che dentro a tutte queste ore ci sia un certo carico di sofferenza. Tutte le volte che entro in periodi di allenamento così impegnativi mi metto nella prospettiva esterna e cerco di rispondere alla domanda “ma perché”? La risposta è sempre la stessa: perché tutto questo mi permetterà ad un certo punto di provare in gara quella incredibile sensazione di annullamento completo e allo stesso tempo di unità totale che ho potuto vivere a Panama City Beach, diciamo nelle due ore finali dell’Ironman. Quel magico stato in cui non stai correndo, né pensando, né facendo coscientemente nessuna altra cosa eppure contemporaneamente stai facendo tutte le esperienze, vivendo tutte le vite possibili. Semplicemente “esisti” e esistendo percepisci in maniera non mediata tutta la realtà circostante e te stesso, senza bisogno di alcuno sforzo, con una chiarezza e profondità impossibile in altre condizioni.

Chiamatelo Nirvana, zen, illuminazione, follia o alterazione chimica, chiamatela come volete ma lasciate che la ritrovi all’infinito.

 

 

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