Sette giorni che sembrano 1 mese per tante cose sono accadute: allenamenti produttivi, riflessioni su come lo sport faccia crescere, incazzature cocenti per prestazioni al di sotto di quanto avrei voluto, analisi a freddo che portano a conclusioni soprendenti. Ma andiamo con ordine.La prima parte della settimana è stata ordinaria con una bella nuotata che ha certificato la definitiva risoluzione dell’infiammazione alla cuffia (evviva), le solite SFR “spaccagambe” in bici, un riposo forzato causa lavoro (ma con il senno di poi necessario, e qui già un primo elemento da annotare) e poi un crescendo di fatica, soddisfazione, rabbia, felicità, insomma emozioni dense come non mi capitava da tanto tempo.
Tanto per incominciare perché per allenarmi (e farlo rispettando precisamente la tabella) ho dovuto davvero mettere in pratica il principio “trasforma ogni ostacolo in opportunità tanto nella vita le sfighe capitano e tu non puoi evitarlo”.
Giovedì mi sono quindi inventato un allenamento run in pausa pranzo, facendo le ripetute 3 x 2000 m dentro a una ciclabile lungo fiume infangata manco il camel trophy di anni ’80 memoria. Tra dislivello e fondo pesante non è che siano usciti dei gran tempi ma di certo i quadricipiti ne hanno tratto beneficio.
Venerdì arrivo in piscina per il famigerato 20 x 200 m e mi trovo le corsie imballate. In passato avrei trovato da litigare con tutti e invece ora, dopo Panama, qualcosa nella testa è scattato facendomi affrontare il problema in modo del tutto diverso. C’è gente che va appena un po’ più piano? Perfetto, sfruttala per capire dove rende di più la scia, quando conviene attaccare e come reagisci a accelerazioni improvvise, come succede in gara e approfittane perché è tutta preziosa esperienza. C’è qualcuno che va veramente piano? perfetto, tu vira 3 metri prima così gli passi davanti senza neanche sfiorarlo così in più puoi esercitarti nelle ripartenze da fermo che fanno tanto bene. Ecco, così facendo non solo mi sono allenato bene ma in più in corsia si è formata una situazione serena, di rispetto per tutti, tanto che in breve anche i meno smaliziato hanno cominciato ad avere attenzioni per gli altri. Come dire, fai del bene e riceverai del bene.
E poi i due giorni produttivi in riva al Garda. Prima l’uscita in bici sabato, 84 km in 2h40′ con i primi 30′ sparati in fuori soglia e i restanti comunque spinti molto forte. Il piacere infinito di pedalare sulla crono, la goduria totale della gardesana occidentale semideserta, il piacere di liquefarsi le gambe con la consapevolezza che la mezza maratona a Verona, il giorno successivo, sarebbe stata il suggello a una settimana di carico finalmente davvero “da ironman”.
E infatti la domenica, con le gambe dure come macigni, mi sono messo a zompettare per la città degli innamorati cercando semplicemente di fare il meglio possibile, di chiudere senza troppi danni, mentre chilometro dopo chilometro l’acido si accumulava nei muscoli che mi urlavano “fermati fermati”. E invece no, l’errore fatto a Cremona nell’ottobre del 2012 non lo rifarò mai più. Ho stretto i denti, ho accettato di vedere il passo salire, fino a quando non mi sono ripreso e ho ricominciato a sostenere un ritmo decente. Alla fine un tempo più alto di 4′ rispetto al mio best (1h36′) ma la granitica certezza di aver chiuso una settimana ad altissima qualità, a cui potrò pensare quando sarò a Klagenfurt in un momento di difficoltà.
Certo che mi sono girate le scatole per aver stampato un tempo così alto. Certo che mi sono girate le balle per aver perso 200 posizioni dal decimo chilometro al traguardo, e c’è anche voluto tutto il pomeriggio perché mi passasse il muso. Sono fatto così, da me pretendo sempre l’eccellenza, e se non ci arrivo mi odio un po’. Il carattere si può plasmare ma non cambiare del tutto. Eppure da quando ho tagliato il traguardo dell’Ironman queste mie escandescenze si sono quasi annullate, il malumore si esaurisce in poco tempo, non vado più fuori di testa se qualcosa compromette il “piano A” perché anziché impuntarmi su ciò che non posso fare o avere mi concentro su quello che rimane di fattibile e raggiungibile, e elaboro un piano B in funzione di quello.
Si può anche essere molto contenti con un piano B, anzi forse anche di più che con quello originale. Volete mettere la soddisfazione di raggiungere l’obiettivo nonostante i casini? Non c’è un’esistenza liscia e perfetta, bisogna sapersi adeguare, piagnucolare non serve a nulla. E’ meglio che ce lo ficchiamo tutti nella zucca.
p.s. oggi a Verona quasi ci rimettevo la caviglia, girando una curva mi sono trovato dentro una buca con tutto il peso sulla gamba sinistra, con il malleolo che sembrava volesse scoppiare per la compressione. E invece a parte il male lancinante in appoggio dopo 3 passi ero di nuovo ok. Mi hanno salvato i noiosi esercizi di propriocezione fatti nelle settimane passate, che hanno rinforzato tutti i muscoli del piede e della caviglia. Sono certo che senza si sarebbe rotto tutto là sotto. Fateli, piuttosto rinunciate a qualche chilometro di corsa ma fate quegli esercizi. Sono importanti e vi permetteranno di ridere sopra a un episodio del genere.
febbraio 17, 2014 alle 11:50 am
Molto bello questo messaggio trasversale, che va dalla “cuffia”, allo sfinimento, passando per l’IM. Non solo imparare a vedere il rovescio, ma imparare ad amarlo questo rovescio inaspettato. Perchè alla fine la vita di cos’è fatta se non di “rovesci”?
febbraio 17, 2014 alle 12:12 PM
Eh sì, quasi più di rovesci che di diritti. Sta a noi girarli nel colpo che ci riesce meglio!