L’ho scontato tutto il giorno di riposo, con una bella ora tonda tonda di tecnica delfino impacchettata tra due 400 misti (come riscaldamento e come lavoro finale).
Il delfino è un massacro per addominali e schiena ma soprattutto mette a dura prova la capacità polmonare. Serve un bel po’ di ossigeno per muoversi in quel modo, per tutto di guadagnato ai fini del miglioramento vicino a soglia anaerobica.
Interessante anche vedere come il disastro delle prime vasche (stile vago, velocità prossima allo zero), piano piano si trasformi in qualcosa di quanto meno accettabile, per non dire decente tentativo dopo tentativo. Mettersi a fare una cosa nuova, o anche solo modificare un abitudine consolidata, all’inizio è estremamente frustrante. Muoversi a malapena in corsia ti fa sentire un incapace totale. Bisogna un po’ fregarsene degli altri (che magari dall’altra parte di sorpassano guardandoti anche con una certa aria di compatimento) e provare fino a che in qualche modo il corpo non sente come naturale la nuova meccanica. Ci vuole un sacco di pazienza.
Comunque, adesso oltre alle gambe semi-cementificate dal circuit di martedì ho anche spalle e braccia ululanti. Tutto procede secondo i piani, avanti senza paura.
P.s. Ieri è stato annunciato un 70.3 il 26 maggio a Rimini. Sarà la gara di casa, su strade che conosco bene, con tanti amici e soprattutto il team Porta Saragozza presente in gran forze. A questo punto sono abbastanza sicuro che al 70.3 di Pescara, il 9 giugno, non ci sarò. Troppo ravvicinate le date e troppo golosa l’occasione di correre su un terreno così familiare.